Iva, detrazione preclusa con la dichiarazione tardiva
La risposta a interpello 593: il termine a regime è il 30 aprile che per il 2020 è stato differito al 30 giugno per l’emergenza Covid-19
Il diritto alla detrazione dell’Iva, ivi compreso quello collegato all’emissione della nota di variazione in diminuzione, è ancorato al termine ordinario di presentazione della dichiarazione annuale, in linea con la regola generale di cui all’articolo 19, comma 1, Dpr 633/1972 e con le indicazioni della circolare n. 1/E/2018. È questa la conclusione di maggior rilievo della risposta a interpello n. 593 del 15 dicembre, la quale conferma che tale termine scade, in via generale, al 30 aprile e solo per quest’anno al 30 giugno, stante il differimento dovuto all’emergenza sanitaria. Non è invece possibile far valere la detrazione dell’imposta presentando la dichiarazione nel maggior termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria, dal momento che la disposizione di cui all’articolo 2, comma 7, Dpr 322/1998 esplica effetto ai soli fini della validità della dichiarazione, ma non per l’esercizio del diritto a detrarre.
Questo vale anche nel caso prospettato nell’interpello, nel quale il contribuente intendeva emettere nota di variazione in diminuzione oltre la scadenza per la presentazione del dichiarativo Iva, al fine d’intromettere l’imposta a credito in una dichiarazione tardiva (da presentare nei 90 giorni). E ciò, perché sarebbe venuto a conoscenza dell’intervenuta chiusura del fallimento del proprio debitore solo dopo la data del 30 giugno, in assenza di comunicazioni ufficiali da parte della curatela.
Per determinare la data in cui sorge il diritto alla detrazione in presenza di procedure fallimentari, le Entrate richiamano, confermandone la validità, le posizioni espresse in passato (in particolare, con la circolare 77/E del 2000) e quindi affermano che tale data va fatta risalire al termine per le osservazioni al piano di riparto o, quando non c’è riparto (come nel caso di specie), alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento. Qualora, per cause non imputabili al soggetto passivo (incolpevolmente all’oscuro della chiusura del fallimento), questi termini siano inutilmente decorsi e non possa essere rispettata la scadenza per l’emissione della nota d’accredito, potrà soltanto farsi ricorso alla procedura di recupero dell’Iva versata (e non dovuta per effetto dell’infruttuosità della procedura concorsuale), presentando la domanda di restituzione dell’imposta, ai sensi dell’articolo 30 ter, Dpr 633/72, come peraltro già ammesso dalla precedente risposta a interpello n. 190 del 13 giugno 2019. In base a questa norma, è possibile chiedere la restituzione del tributo entro il termine di due anni dalla data del versamento o, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per il recupero dell’imposta.
Nella fattispecie esaminata dall’Agenzia, il presupposto coincide con la scadenza del termine per opporre reclamo al decreto di chiusura del fallimento che determina la definitiva infruttuosità della procedura.