Controlli e liti

Iva: soglie di punibilità poco elastiche

di Patrizia Maciocchi

La non punibilità per particolare tenuità del fatto in caso di mancato versamento dell’Iva scatta solo se l’omissione è vicinissima alla soglia di punibilità. La Corte di cassazione, con la sentenza 14595 del 30 marzo , torna sull’applicabilità dell’articolo 131-bis del Codice penale anche ai reati tributari fornendo un altro parametro: lo sforamento di circa 4.500 euro del tetto fissato per la rilevanza penale, non consente di restare impuniti.

Nel caso esaminato i giudici della terza sezione penale giustificano il no al ricorso, ricordando che il grado di “offensività” che dà luogo al reato è già stato stabilito dal legislatore nella misura di 250 mila euro.

E, pur ribadendo la possibilità di applicare l’articolo 131-bis in caso di evasione dell’imposta sul valore aggiunto, la Suprema corte sottolinea che perché questo avvenga è necessario che il danno sia esiguo «secondo il significato letterale del termine, scarso trascurabile, quasi insignificante». Nel caso specifico lo scostamento non poteva definirsi esiguo, come sostenuto dal ricorrente. Il modesto superamento della soglia di punibilità pesa però, generalmente, in positivo nel trattamento sanzionatorio. Nella causa esaminata però non basta. Se l’elemento della cifra contenuta gioca, infatti, a favore dell’imputato, contro di lui di ci sono i precedenti penali specifici: quattro condanne per omesso versamento in delle ritenute previdenziali e Iva. Tanto basta a negare l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e la concessione dei doppi benefici.

La Cassazione si era già espressa sulla particolare tenuità del fatto, collegata ai reati tributari, con la sentenza 51597 del 2017: un verdetto favorevole al ricorrente.

Allora la Suprema corte aveva, infatti, dato ragione al contribuente che si era visto respingere la domanda di applicazione del 131-bis, per il reato di omesso versamento delle ritenute certificate. Un no pronunciato dai giudici malgrado il limite dei 150 mila euro fosse stato superato solo per 369 euro. In quell’occasione il tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo dei beni e, pur dando atto che lo sforamento era minimo aveva negato che si potesse parlare di danno lieve.

Per la Suprema corte i giudici avevano commesso un errore nel valorizzare solo il bene giuridico tutelato, senza esaminare la lesione concretamente messa in atto con il reato. Nella valutazione devono invece pesare le linee “guida”dettate dalla giurisprudenza in tema di reati di reati tributari e non punibilità.

Con la sentenza 13218 del 2016 la Cassazione aveva spostato l’asticella della non punibilità decisamente sul no, in un caso di evasione dell’Iva nel quale l’ammontare del debito con l’erario era di 270.703 euro a fronte di un margine di “tolleranza”, per evitare la condanna, di 250 mila euro.

La Suprema corte aveva ribadito che l’applicabilità dell’articolo 131-bis del Codice penale presuppone delle valutazioni nel merito, oltre ad una «necessaria interlocuzione con i soggetti coinvolti». Nel giudizio di legittimità si deve dunque procedere per “step”, verificando prima l’esistenza, in astratto delle condizioni per usare l’istituto. La causa di non punibilità può essere concessa solo in presenza di un doppio requisito: tenuità dell’offesa e non abitualità del comportamento.

E il criterio di riferimento resta quello della vicinanza al tetto fissato dal legislatore.

Cassazione, III sezione penale, sentenza 14595 del 30 marzo 2018

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