Iva, valida la dichiarazione integrativa entro cinque anni dall’originaria
La possibilità di emendare la dichiarazione originaria, introdotta dal legislatore con l’articolo 5 Dl 193/2016, fatta comunque salva l’applicazione delle sanzioni, ha carattere retroattivo e la negazione del correlato diritto al rimborso in virtù di un più breve termine decadenziale contrasterebbe con il principio costituzionale di capacità contributiva determinando un indebito incameramento del credito da parte dell’Erario. Questo il principio che emerge dalla sentenza 4816/12/2019 della Ctr Lombardia del 28 novembre 2019 (presidente Paganini, relatore Gatti) .
Il caso
Una società, facente parte di un gruppo multinazionale, impugnava un diniego al rimborso Iva (anno 2011) emesso dall’agenzia delle Entrate rispetto a un’istanza presentata nel dicembre del 2015. Trascurando i motivi che avevano condotto a una duplicazione degli importi versati nelle liquidazioni periodiche, dovuti a malfunzionamenti generati dal sistema contabile informatico, ci si sofferma sui motivi posti dalla ricorrente a sostegno del suo diritto al rimborso ovvero, fra questi, l’inapplicabilità del termine di decadenza biennale trattandosi di indebito tributario, la violazione dei principi costituzionali della capacità contributiva, l’applicazione al caso di specie della prescrizione ordinaria nonché l’emendabilità della dichiarazione in presenza di errori, anche in sede contenziosa, con il conseguente riconoscimento del diritto al rimborso delle somme erroneamente versate in eccesso.
L’Ufficio, dal canto suo, ribadiva la liceità del proprio operato rimarcando che il termine di decadenza da applicare fosse quello biennale (ex articolo 21 del Dlgs 546/1992) e non quello previsto dall’articolo 2033 del Codice civile (indebito oggettivo di diritto comune), poiché il primo è in linea di principio idoneo a consentire a qualsiasi soggetto diligente di far valere il diritto attribuitogli dalla legge tributaria di ottenere la restituzione di quanto erroneamente versato. Concorde con la tesi erariale la Ctp che riteneva non sussistere alcun indebito oggettivo con prescrizione decennale ben potendo la ricorrente chiedere il rimborso nel termine biennale; i giudici provinciali richiamavano la giurisprudenza della Cassazione la quale ha in più occasioni statuito che «nel caso in cui il contribuente abbia versato l’imposta non dovuta, il termine entro il quale va avanzata la richiesta di rimborso è quello biennale, articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/92 e decorre dal momento in cui è stato effettuato il versamento, in quanto l’errore in cui il contribuente è incorso legittima l’immediato esercizio del diritto al rimborso, non ostandovi preclusione alcuna» nonché che «in materia di Iva ed in assenza di disposizioni specifiche, si applica la norma di natura residuale di cui all’articolo 21 Dlgs 546/92».
La riforma
La Ctr confuta la tesi erariale e quindi riforma il decisum dei primi giudici considerando dirimente il carattere interpretativo e quindi retroattivo, già rilevato dalla Ctp, della modifica introdotta dall’articolo 5 del Dl 193/2016 sui termini per l’emendabilità della dichiarazione che i giudici provinciali non avevano preso in considerazione, circoscrivendo la materia del contendere all’atto impugnato (il diniego) e non ricomprendendovi anche la richiesta di emendabilità perché considerata domanda nuova. Su tale punto i giudici precisavano che «non è certo il diniego che limita i confini della domanda del contribuente» e che comunque la società ricorrente aveva chiaramente sostenuto il proprio diritto ad emendare la dichiarazione a suo tempo presentata e altrettanto aveva fatto con l’istanza di rimborso.
La modifica normativa ha previsto che «le dichiarazioni dell’imposta sul valore aggiunto possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile mediante successiva dichiarazione da presentare…. non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del Dpr n. 633/1972» il quale, al primo comma, dispone a sua volta che «gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti ….devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione».
Pertanto, chiosa il collegio, il termine entro il quale può essere emendata la dichiarazione è di cinque anni da quello in cui è stata presentata la dichiarazione stessa , dovendosi quindi e per il caso di specie, considerare tempestivamente prodotta (anno d’imposta 2011/dichiarazione 2012/istanza 2015/ricorso 2016).
La Ctr richiama altresì la giurisprudenza di legittimità (ex multis ordinanza 20119/2018) la quale ha affermato che la dichiarazione dei redditi:
a) non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti;
b) che essa costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria;
c) che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi.
Ragionare diversamente, quindi, negando il diritto al rimborso, determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell’erario, svuotando di significato quanto statuito dal legislatore in tema di emendabilità della dichiarazione.
Ctr Lombardia, sentenza 4816/12/2019
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di Fabio Giordano, Comitato Tecnico AssoSoftware