Controlli e liti

L’accertamento può essere basato sull’importo del mutuo

immagine non disponibile

di Laura Ambrosi

Le stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare (Omi) unitamente ad altri elementi possono fondare l’accertamento: il giudice deve valutare le prove nel loro complesso e verificare se congiuntamente possano supportare adeguatamente la rettifica operata dall’ufficio. Ad affermare questo principio è la Corte di cassazione con l’ ordinanza nr. 20378 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate notificava ad una società un avviso di accertamento per rettificare il reddito dichiarato in seguito alla vendita di alcuni immobili. In particolare l’ufficio fondava la propria pretesa sulle differenze riscontrate tra i corrispettivi dichiarati rispetto ai valori risultanti dalla banca dati Omi e da alcune relazioni tecniche redatte dagli istituti finanziari degli acquirenti in occasione della richiesta dei mutui.

Il provvedimento veniva impugnato dalla contribuente dinanzi al giudice tributario che in primo grado confermava la pretesa erariale. La decisione veniva invece ribaltata dalla Ctr in senso favorevole alla società.

Il collegio di seconde cure, infatti, ha ritenuto che i valori Omi e le relazioni delle banche non sembravano idonee, neppure congiuntamente, a costituire elemento probatorio della simulazione del prezzo. L’Agenzia ricorreva così in Cassazione lamentando un’errata valutazione delle prove.

La Suprema corte ha innanzitutto precisato che la stima Omi per aree edificabile non è un elemento idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile. Ciò in quanto il prezzo può dipendere da molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico nonché lo stato delle opere di urbanizzazione.

I giudici di legittimità hanno tuttavia rilevato che nella specie pur volendo escludere ogni rilevanza ai citati valori Omi, per fondare l’accertamento era sufficiente lo scostamento tra mutuo erogato all’acquirente e prezzo dichiarato. Inoltre, tra le prove raccolte dai verificatori c’erano anche le promesse di vendita stipulate, dalle quali emergevano differenze rispetto ai prezzi dichiarati negli atti notarili.

La Cassazione ha così precisato che è censurabile la decisione di merito nella quale il collegio si è limitato a negare il valore indiziario degli elementi senza accertare se gli stessi, anche se sforniti singolarmente di valenza indiziaria, sono in grado di acquisirla se valutati nel complesso, nel senso che ciascuno potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Nella specie, la Ctr si era limitata a ritenere illegittimo l’accertamento nonostante oltre ai valori Omi, ci fossero elementi probatori ulteriori. Da qui l’accoglimento del ricorso dell’amministrazione.

La giurisprudenza di legittimità da tempo ha classificato le stime Omi quali mero strumento di ausilio e indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, idonee solamente per «valori di massima» (Cassazione, sentenza 25707/2015).

Ai fini dell’imposta di registro, invece, gli Uffici tendono a utilizzare in via quasi automatica le presunzioni Omi per le rettifiche. Secondo la tesi erariale, poiché si tratta di un’imposta da applicare sul valore venale in comune commercio, non sono necessarie né prove a dimostrazione dell’incasso delle somme accertate, né ulteriori elementi, atteso che le predette stime dovrebbero rappresentare il prezzo mediamente applicato. Secondo le indicazioni fornite dalla Cassazione, invece, l’ufficio deve produrre ulteriori elementi per documentare il valore di mercato (Cassazione, sentenza 21569/2016).

Peraltro, l’agenzia delle Entrate, con la circolare 16/2016, ha confermato tale interpretazione, precisando che l’Omi deve rappresentare solo il dato iniziale, necessitando il confronto con immobili similari e una valutazione delle caratteristiche.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©