L’accertamento sull’esterovestizione si blocca davanti ai certificati di residenza
Contrasta con i principi europei di mutuo riconoscimento e leale cooperazione tra Stati nonché con la libertà fondamentale di stabilimento l’accertamento dell’esterovestizione di una società di diritto olandese pur a fronte della presentazione dei certificati di residenza fiscale rilasciati dall’autorità estera senza che l’ente verificatore abbia attivato gli strumenti di assistenza amministrativa previsti dai Trattati europei. A stabilirlo è la Ctp Milano, con la sentenza n. 6814/14/2017, in continuità con la giurisprudenza comunitaria e nazionale consolidatasi sul tema.
La vicenda traeva origine dall’attività di accertamento nell’ambito della quale l’agenzia delle Entrate, disconoscendo la residenza estera della società, pretendeva di attrarne la residenza al territorio nazionale in base alla presunta e non provata circostanza che la stessa fosse amministrata dall’Italia.
I giudici meneghini, all’esito di un’articolata e approfondita analisi di tutti gli elementi di prova forniti e delle argomentazioni addotte dalla ricorrente, concludevano nel senso dell’illegittimità dell’avviso impugnato per non avere l’Ufficio correttamente adempiuto al proprio onere probatorio disconoscendo il valore di prova al certificato di residenza estero ed allegando indizi cui non poteva essere riconosciuto quel grado di gravità, precisione e concordanza richiesto per l’assolvimento dell’onus probandi dell’asserita violazione.
La Commissione osservava che trattandosi di accertamento a carico di società residente in Olanda, Paese UE, non incluso in alcuna black-list, gli elementi raccolti in sede di verifica avrebbero dovuto essere tali da far ritenere di trovarsi di fronte ad una “costruzione non genuina”, costituita al solo scopo di conseguire un vantaggio fiscale ed in assenza di “validi motivi di ordine commerciale/imprenditoriale”.
In materia di accertamento di fenomeni di esterovestizione c.d. “di fatto”, l’obbligo di provare la fittizia localizzazione all’estero del soggetto grava unicamente sull’Amministrazione finanziaria la quale, in presenza di certificati di residenza fiscale rilasciati dall’Amministrazione dello Stato membro di stabilimento della società accertata, non può disconoscere la residenza estera del soggetto senza aver previamente attivato le procedure di assistenza amministrativa tra Stati dell’Unione, previste dalla direttiva del Consiglio d’Europa 77/799/Cee pena l’illegittima compromissione della libertà di stabilimento.
La mancata attivazione della suddetta procedura a fronte dell’allegazione da parte del soggetto verificato di puntuali e ulteriori riscontri circa l’effettiva localizzazione nel paese di stabilimento, ha comportato, nel caso oggetto della pronuncia, la caducazione dell’asserita esterovestizione societaria.
La pronuncia dei giudici milanesi si inserisce nel solco di una giurisprudenza “eurocentrica”, in cui, fatta eccezione per le “costruzioni non genuine”, le libertà fondamentali previste dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea - in primo luogo la libertà di stabilimento - risultano tutelate alla luce del principio di mutuo riconoscimento e leale cooperazione tra Stati.