Imposte

L’Ace cade sui «doppi» esercizi

di Filippo Maisto

Il decreto legge 50/2017 e la stretta sull’Ace continuano a rivelare effetti paradossali e imprevedeibili. Come quelli che si verificano nel caso in cui in un unico anno ci siano due esercizi. Ma andiamo con ordine.

L’articolo 7, comma 1 del Dl 50 ha modificato le modalità di determinazione della base Ace dando rilevanza, per le società di capitali, alle variazioni in aumento del capitale proprio verificatesi dopo la chiusura del quinto esercizio precedente, al posto dell’originaria rilevanza temporale illimitata degli incrementi e decrementi a partire dal 31 dicembre 2010.

La modifica, che è in vigore a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2016, determina potenziali effetti asistematici in ipotesi di esercizi inferiori o superiori all’anno.

Si pensi, per esempio, a una società i cui esercizi sociali coincidono con l’anno solare ma che, per i più svariati motivi, abbia chiuso nel corso dell’anno 2017 due esercizi brevi (ad esempio in quanto acquisita da terzi e intenzionata ad accedere al consolidato fiscale dell’acquirente sin dalla data di acquisizione). In questa ipotesi, un eventuale conferimento in denaro di 100 ricevuto nel 2016 assumerebbe rilevanza Ace sino al periodo d’imposta 2019, in quanto per effetto del frazionamento in due dell’esercizio 2017, l’esercizio 2015 diverrebbe il «quinto esercizio precedente» già nel 2019, mentre il medesimo conferimento di 100 avrebbe assunto rilevanza Ace sino al periodo d’imposta 2020 laddove l’anno 2017 non fosse stato frazionato.

Una questione concettualmente analoga è stata affrontata dall’articolo 2, comma 1 del Dm 14 marzo 2012 (il cosiddetto decreto Ace), che prevede, in caso di esercizi inferiori o superiori a un anno, il ragguaglio della base Ace alla durata del periodo stesso. Come evidenziato dalla relazione illustrativa al decreto Ace, tale ragguaglio ad anno si è reso necessario per omogeneizzare la base Ace al coefficiente di rendimento determinato su base annuale, nonostante la norma primaria, ovverosia l’articolo 1 del decreto legge 201/2011, non prevedesse nulla al riguardo.

Appare auspicabile che lo stesso approccio sistematico venga adottato nell’ambito delle disposizioni ministeriali che dovranno essere emanate al fine di allineare l’attuale decreto Ace al nuovo regime di rilevanza quinquennale della base Ace.

La soluzione potrebbe consistere nell’attribuire rilevanza agli incrementi e decrementi di capitale proprio occorsi negli ultimi cinque «anni», superando il riferimento letterale della norma primaria agli ultimi cinque «esercizi». Questa interpretazione eviterebbe l’alterazione dell’anzianità della base Ace solamente in ragione della presenza, nel corso degli ultimi cinque anni, di esercizi superiori o inferiori all’anno.

Da ultimo, occorre tenere a mente che la rilevanza Ace degli incrementi di capitale proprio rischia di fatto di accorciarsi a quattro anni con riferimento ai conferimenti che vengono posti in essere a ridosso della chiusura d’esercizio (sulla base dell’articolo 1, comma 6 del decreto legge 201/2011 il conferimento rileva pro rata temporis nell’esercizio di conferimento, ma la base Ace “persa” nel primo esercizio per effetto del ragguaglio ad anno non viene recuperata in coda nell’ultimo esercizio temporalmente rilevante ai fini dell’Ace).

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