L’addio all’Ace apre alla conversione delle riserve di patrimonio in debito
La conversione delle riserve di patrimonio in debito può essere giustificata, sotto il profilo della disciplina anti-abuso, anche per effetto dell’abrogazione dell’Ace. L’addio all’agevolazione previsto dal Ddl di Bilancio - ora all’esame del Senato dopo il primo via libera della Camera - può, infatti, portare alcune imprese a riconsiderare la propria struttura patrimoniale, in termini di rapporto tra mezzi propri (patrimonio) e mezzi di terzi (indebitamento).
Il principale obiettivo perseguito dal legislatore con l’introduzione dell’Ace è stato quello di rafforzare l’apparato patrimoniale del nostro sistema imprenditoriale, incentivando quelle imprese che si finanziano con capitale di rischio mediante una riduzione della imposizione sui redditi (relazione illustrativa al Dm del 14 marzo 2012). Per effetto di tale incentivo - e in coerenza con le finalità dell’istituto - diverse imprese hanno in questi anni privilegiato il ricorso a mezzi propri rispetto al debito per finanziare l’attività d’impresa; operativamente, ciò si è tradotto nell’apporto patrimoniale di mezzi finanziari da parte dei soci, nell’accantonamento di utili a riserva e nella conversione di finanziamenti soci in riserve di patrimonio (attraverso la rinuncia dei finanziamenti stessi).
La legittimità di tali operazioni, seppur dettate prevalentemente da motivazioni di carattere fiscale (sfruttare, appunto, il beneficio Ace), non è stata mai messa in discussione sotto il profilo della disciplina antiabuso, in quanto il beneficio Ace connesso agli incrementi patrimoniali non può mai considerarsi “indebito”, andando a realizzare esattamente le finalità previste dall’ordinamento.
Venuto meno l’incentivo, è necessario quindi interrogarsi sui riflessi antiabuso dell’operazione “inversa”, ovvero della “conversione” del patrimonio in debito; tale conversione si realizza contraendo finanziamenti (onerosi) ed utilizzando la provvista per distribuire riserve ai soci.
Operazioni analoghe sono state contestate in passato dall’amministrazione finanziaria, in particolar modo quando il soggetto che concede il finanziamento è il medesimo socio destinatario del dividendo. In tali ipotesi è stata spesso disconosciuta la deducibilità degli interessi passivi sui debiti contratti al solo fine di distribuire somme ai soci.
Anche la giurisprudenza della Cassazione si è espressa sui finanziamenti contratti con lo scopo unico di ottenere la provvista necessaria al pagamento di dividendi al socio, confermando in più occasione la tesi del Fisco, nei casi in cui alla base dell’indebitamento non vi sono ragionevoli motivi di convenienza economica (sentenze 22564 del 2012 e 12548 del 2016). Anche nella sentenza 14761 del 2015, pur riconoscendo la deducibilità degli interessi passivi in un’operazione di riduzione del capitale seguita dall’emissione di un prestito obbligazionario (sottoscritto dal socio), la Corte sembra ancorare la propria decisione sulle valide ragioni economiche più che sulla libertà per il contribuente di scegliere le proprie fonti di finanziamento.
Peraltro, tali posizioni meriterebbero di essere riviste alla luce della nuova nozione di abuso del diritto, che esclude l’esistenza di un vantaggio fiscale indebito nel momento in cui il contribuente si limita a scegliere tra due alternative che il sistema gli pone a disposizione (principio peraltro già espresso nella relazione al Dlgs 358/97). Tale principio, che dovrebbe comunque portare ad escludere l’esistenza di una fattispecie abusiva tutte le volte in cui l’impresa sostituisce il patrimonio con il debito (di terzi o infragruppo), diventa ancora più solido a seguito dell’abrogazione dell’Ace, in particolare per quelle imprese che erano state spinte a massimizzare la «leva patrimoniale» (anche convertendo finanziamenti in equity), per ottenere il beneficio della deduzione nozionale.
Con il venir meno dell’incentivo alla capitalizzazione, dovrebbe essere naturale consentire alle imprese di rivedere la propria struttura patrimoniale anche (o solo) in funzione del nuovo quadro normativo.