L’autorizzazione alle indagini finanziarie non deve essere esibita
La legittimità delle indagini bancarie e delle correlate risultanze si rivela essere subordinata all’esistenza dell’autorizzazione ma non anche alla relazionata esibizione all’interessato, con la conseguenza che le eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento risultano essere censurabili davanti al giudice tributario a condizione che, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano a inficiare il risultato finale del procedimento e, di conseguenza, dell’accertamento medesimo.
A tale conclusione è giunta la Corte di cassazione attraverso l’ordinanza n. 9480/2018.
L’agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Ctr, di reiezione dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto i ricorsi del contribuente per l’annullamento di alcuni avvisi di accertamento con cui era stato rideterminato il reddito del contribuente e recuperate a tassazione le imposte non versate.
Dalla sentenza impugnata si evince che la rettifica delle dichiarazioni era stata effettuata dall’ufficio previa utilizzazione dei dati risultanti dalle indagini bancarie eseguite.
L’ufficio ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 comma 2 del Dpr n. 600/1973, dell’articolo 51 comma 2 n. 7 del Dpr n. 633/1972 e dell’articolo 18 comma 4 e 5 della legge n. 413/1991 per avere, la sentenza impugnata, ritenuto che la mancanza dell’autorizzazione all’acquisizione dei dati dei conti correnti bancari utilizzati per l’accertamento, rendesse inutilizzabili le prove acquisite in tale maniera, oltre a dedurre l’insufficiente e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo, per aver il giudice di appello considerato che, la mancanza del vaglio critico del dirigente preposto all’autorizzazione prevista per la richiesta di acquisizione dei conti bancari, cagionasse un concreto pregiudizio per il contribuente.
A parere del collegio di legittimità il ricorso è risultato fondato in quanto l’articolo 32 n. 7 del Dpr n. 600/1973 attribuisce agli uffici finanziari il potere di richiedere, previa autorizzazione del direttore centrale dell’accertamento dell’agenzia delle Entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il corpo della Guardia di finanza, del comandante regionale, anche alle banche dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata e analoga disposizione è prevista dall’articolo 51 comma 2 del Dpr n. 633/1972, con riferimento alle attribuzioni e poteri degli uffici dell’imposte sul valore aggiunto.
L’orientamento della Corte suprema ha evidenziato come le norme in esame subordinano la legittimità delle indagini bancarie e delle relative risultanze all’esistenza dell’autorizzazione (ma non anche alla relativa esibizione all’interessato), con la precisazione per la quale eventuali illegittimità nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento diventano censurabili davanti al giudice tributario a condizione che, traducendosi in un concreto pregiudizio per il contribuente, vengano a inficiare il risultato finale del procedimento e, di conseguenza, l’accertamento medesimo (Cassazione sentenza n. 20420/2014).