L’e-commerce esclude l’inesistenza delle fatture
L’assenza di personale dipendente o di una sede adeguata sono indizi sintomatici dell’emissione di fatture soggettivamente inesistenti, ma il contribuente può difendersi dimostrando l’esercizio di un’attività in e-commerce. A fornire queste precisazioni è la Corte di cassazione con la sentenza 20587 di ieri.
L’agenzia delle Entrate contestava ad una società la detrazione Iva di una fattura ritenuta soggettivamente inesistente. Il provvedimento veniva annullato dalla Ctp, che riteneva il contribuente inconsapevole della frode commessa dal proprio fornitore. La Ctr riformava la decisione e la società ricorreva in Cassazione lamentando, sostanzialmente, un vizio di motivazione.
I giudici di legittimità, confermando la sentenza di appello, hanno innanzitutto ricordato che in caso di operazioni soggettivamente inesistenti l’onere della prova che grava sull’amministrazione si fonda su due circostanze:
il soggetto formale risultante dal documento non è quello reale. Al riguardo l’amministrazione può assolvere il suo onere probatorio anche mediante presunzioni, offrendo elementi indiziari sulle reali modalità di svolgimento delle operazioni commerciali;
il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione. In proposito, l’amministrazione è tenuta a provare, anche con presunzioni, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, sulla base di indizi idonei ad avvalorare la conoscenza del possibile illecito.
Non esiste, così, alcun automatismo probatorio poiché non è possibile considerare inesistente un soggetto in base a criteri predeterminati (Corte Giustizia C-277/14).
Occorrono elementi obiettivi e specifici senza pretendere che il destinatario della fattura verifichi la sussistenza di irregolarità o evasioni o che siano stati assolti gli obblighi dichiarativi. Al contribuente, infatti, compete un obbligo di verifica di elementi sintomatici di una possibile operazione soggettivamente inesistente quali ad esempio prezzi inferiori al mercato, la limitatezza del ricarico, la presenza di una pluralità di soggetti indicati nella documentazione di trasporto e fatturazione, la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato, la tempistica dei pagamenti e la modalità, specialmente se convogliati in conti esteri.
In questo contesto, la Cassazione ha chiarito che l’onere probatorio dell’ufficio ben può esaurirsi nella prova che il fornitore fosse privo di una struttura adeguata per l’esecuzione dell’operazione fatturata. Il contribuente può dimostrare che l’attività era svolta in luoghi diversi dalla sede o in forma dematerializzata o in modalità e-commerce. La decisione è interessante poiché soprattutto negli ultimi tempi sono frequenti gli acquisti online, per i quali difficilmente l’imprenditore riesce preventivamente a verificare l’effettiva struttura operativa del fornitore (sede, ubicazione, beni strumentali).
Cassazione, sentenza 20587/2019