L’intero reddito della Cfc imputato ai residenti in proporzione agli utili
Lo schema di decreto legislativo, approvato in prima lettura, che recepisce la direttiva Atad (2016/1164/Ue) rivisita in maniera significativa la disciplina Cfc.
La modifica di maggior rilievo consiste nell’eliminazione della distinzione tra disciplina applicabile ai soggetti esteri residenti o localizzati in Stati a fiscalità privilegiata (di cui ai commi 1 e 4 dell’attuale articolo 167 del Tuir) e disciplina applicabile alle cosiddette Cfc white (di cui all’attuale comma 8 bis dell’articolo 167). Lo schema di Dlgs, che estende il concetto di controllo” ai casi in cui il soggetto residente detenga più del 50% della partecipazione agli utili del soggetto estero, subordina infatti l’applicazione della disciplina Cfc solo al congiunto verificarsi di due condizioni, concernenti rispettivamente il livello di tassazione gravante sui soggetti esteri controllati e la tipologia di redditi da essi conseguiti (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri).
Con riferimento alla prima condizione, è eliminato il confronto tra le aliquote nominali, non compatibile con la direttiva. Resta, dunque, quale unico criterio, quello del raffronto tra la tassazione effettiva estera e quella virtuale italiana (il criterio del livello nominale di imposizione resta valido ai fini dell’imposizione dei dividendi di fonte estera e delle plusvalenze-ricavi su partecipazioni estere).
Con riferimento alla seconda condizione, è richiesto che oltre un terzo dei proventi conseguiti dal soggetto controllato estero sia riconducibile alle tipologie di reddito elencate al nuovo comma 4, lettera b) dell’articolo 167 (redditi black), ossia redditi “passivi” (interessi, dividendi e canoni), ovvero redditi facilmente delocalizzabili in Stati esteri (tra i quali i redditi da attività finanziarie, ivi incluse le attività bancarie ed assicurative, ed i redditi derivanti da attività intercompany a valore aggiunto scarso o nullo).
Lo schema di decreto legislativo non include l’esimente (facoltativa) prevista dall’articolo 7, paragrafo 3, comma 2 della direttiva Atad, secondo cui l’Italia potrebbe scegliere di non trattare le imprese finanziarie come società controllate estere nei casi in cui almeno due terzi dei redditi “black” derivi da operazioni con soggetti esterni al gruppo. Il mancato recepimento di tale esimente penalizza soprattutto i gruppi bancari ed assicurativi con significativa presenza estera, che dovranno ricalcolare l’imposta virtuale italiana per tutte le loro consociate estere.
Lo schema di decreto prevede che l’intero reddito delle Cfc sia imputato ai soggetti residenti controllanti, in proporzione alla relativa quota di partecipazione agli utili. La soluzione adottata dalla direttiva è diversa e prevede esclusivamente l’attribuzione (pro quota) dei redditi black. La disciplina recata dallo schema di decreto comporta dunque, rispetto alla norma della direttiva, un significativo aggravio dell’onere tributario per le società con attività mista.
Opportuna la scelta di estendere l’applicazione dell’esimente basata sull’esercizio di un’attività economica effettiva e recata dal nuovo comma 5 dell’articolo 167 del Tuir alle Cfc localizzate in Paesi terzi (non membri Ue o See). Appare inoltre condivisibile la scelta di eliminare il requisito del radicamento nel mercato dello Stato di insediamento, la quale appare conseguente alla decisione del governo di applicare senza distinzione la nuova disciplina Cfc sia agli investimenti intra-Ue (e See), sia agli investimenti effettuati in paesi terzi. Il mantenimento di tale requisito con riferimento agli investimenti intra-Ue, infatti, sarebbe risultato contrario alla costante giurisprudenza della Corte Ue.
Infine, la terminologia utilizzata per disciplinare l’esimente risulta chiaramente ispirata a quella recata dal testo italiano della direttiva, disponendo la disapplicazione della disciplina Cfc ove sia dimostrato che il soggetto estero “svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali”. Si ritiene che tale disposizione debba essere interpretata tenendo conto della giurisprudenza della Corte Ue, la quale riconosce piena dignità alla creazione in altri Stati membri di società holding e di servizi, le quali godono dunque della protezione garantita dalla libertà di stabilimento.
L’esimente dovrà quindi essere declinata con ragionevolezza, richiedendo l’esistenza di beni, personale e locali adeguati alle funzioni svolte, che nel caso delle società holding potrebbero essere anche alquanto limitati. Sembra militare in questa direzione anche l’utilizzo dell’aggettivo “effettiva”, invece di “sostanziale” (termine impiegato dalla direttiva), per qualificare l’attività economica svolta dal soggetto estero.
Si rileva, infine, che lo schema di decreto esclude espressamente la possibilità di applicare la normativa Ace al fine di determinare il reddito estero da imputare per trasparenza.