L’Iva per operazioni ante-fallimento non è un credito prededucibile
L’Iva sui corrispettivi incassati durante la procedura concorsuale relativa ad operazioni eseguite ante-fallimento non è un credito prededucibile, ma una volta dichiarata e versata non può essere oggetto di dichiarazione integrativa a favore né può essere richiesta a rimborso.
L’agenzia delle Entrate, con la risposta 455/2019 pubblicata il 31 ottobre , ha chiarito il dubbio di un contribuente che, in base ad una precedente risposta fornita dalla medesima Agenzia il 28 maggio scorso (risposta 164/2019), ha ritenuto di aver erroneamente versato l’Iva relativa ad operazioni ad esigibilità differita, effettuate nel periodo anteriore al fallimento ed incassate nel corso della procedura. Essendo questo credito un credito concorsuale e non un credito prededucibile, l’istante ha ritenuto di dover rettificare le dichiarazioni presentate nel corso della procedura concorsuale (che è aperta dal 2012) per il recupero dell’Iva erroneamente pagata e di presentare un’istanza di rimborso dell’importo indebitamente corrisposto per le annualità per le quali non è più possibile presentare la dichiarazione integrativa a favore.
Tuttavia, l’agenzia delle Entrate, pur ribadendo che l’Iva ad esigibilità differita relativa ai corrispettivi incassati nel corso della procedura fallimentare, se riferibile ad operazioni effettuate ante-fallimento, rientra fra i crediti concorsuali e non anche fra quelli prededucibili, ha comunque ritenuto che non sussistenti i presupposti per la configurazione di un indebito versamento dell’imposta, che di fatto resta comunque esigibile.
Più in dettaglio, la norma fallimentare considera come prededucibili i crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali.
Per le operazioni ad esigibilità differita eseguite ante fallimento, il credito Iva relativo, seppur divenuto esigibile con il pagamento del corrispettivo che, nel caso prospettato dall’istante, è avvenuto nel corso della procedura concorsuale, non può essere considerato come un credito sorto in occasione o in funzione di procedure concorsuali, in quanto il credito, legato al momento in cui l’operazione si considera effettuata, è comunque sorto in epoca antecedete all’apertura del fallimento.
Per questo motivo, il curatore fallimentare non avrebbe l’obbligo di versare il debito Iva relativo ai corrispettivi incassati nel corso della procedura e l’Erario potrebbe recuperare quel credito insinuandosi al passivo.
Ciò che però rileva nel caso di specie è che il curatore, pur non essendo obbligato, ha comunque computato nella liquidazione e nel versamento periodico anche l’Iva relativa alle suddette operazioni ad esigibilità differita e questo comportamento non ha configurato un errore di natura fiscale poiché l’incasso del corrispettivo rende l’Iva ad esso relativa fiscalmente esigibile.
Da questo assunto, l’agenzia delle Entrate ritiene che, non ravvisandosi un errore fiscalmente rilevante, viene a mancare il presupposto fiscale per l’indebito versamento dell’Iva e con esso il titolo per presentare una dichiarazione integrativa a favore ovvero il diritto a presentare un’istanza di rimborso.
Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 454/2019