Controlli e liti

L’RW omesso non si regolarizza come una violazione formale

di Monica Laguardia e Marco Piazza

L’omessa compilazione del quadro RW da parte del contribuente non è regolarizzabile mediante l’accesso all’istituto della definizione agevolata delle violazioni formali (articolo 9 del Dl 119/2018). Lo ha ribadito l’Agenzia nella risposta all’interpello 326/2019 di ieri , confermando, peraltro, la circolare 11/E del 2019.

La risposta è principalmente fondata sul fatto che il provvedimento di attuazione della disciplina esclude esplicitamente, al punto 1.4, che la regolarizzazione possa essere utilizzata per l’emersione di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori dal territorio dello Stato.

La questione, però, dovrebbe essere esaminata sotto un diverso profilo. L’istante fa presente che l’omessa compilazione del quadro RW riguarda un investimento in una società lussemburghese realizzato mediante bonifici eseguiti tramite intermediari finanziari italiani indicato nel quadro RW nell’anno 2005 e nei successivi tranne, per mera dimenticanza, nel 2006.

L’interpello non specifica quando sia stato notificato l’atto di irrogazione della sanzione, ma si può immaginare che l’Ufficio abbia fruito del raddoppio dei termini di accertamento previsto dall’articolo 12 del Dl. 78 del 2009 poiché nel 2006 il Lussemburgo non era un paese collaborativo.

In questo caso, andrebbe osservato che secondo la Corte di Giustizia (C- 157/08 e C -155/08) - la disciplina europea sull’esercizio della libertà di circolazione dei capitali non pone il divieto di consentire all’amministrazione fiscale un termine superiore a quello ordinario per effettuare verifiche su beni collocati in altri Stati membri. Tuttavia, la sentenza precisa che ciò è consentito «in carenza di elementi indiziari circa l’esistenza di tali beni e proventi». Queste conclusioni sono confermate dalla sentenza C-317/15, con riferimento a beni collocati fuori dall’Unione europea.

Nel caso oggetto dell’interpello:

l’investimento era stato effettuato tramite di intermediari finanziari italiani, i quali sono obbligati a comunicare annualmente all’agenzia delle Entrate i bonifici da e verso l’estero di importo superiore a determinate soglie (variate nel tempo) sostanzialmente irrisorie e

l’omissione aveva riguardato esclusivamente l’annualità 2006 e l’investimento era stato regolarmente indicato nella dichiarazione relativa all’annualità precedente e in quella successiva. Pertanto, non si può affermare che l’Agenzia non avesse elementi indiziari circa l’esistenza della partecipazione in Lussemburgo. Quindi non avrebbe dovuto fruire del raddoppio dei termini.

Se a ciò si aggiunge che la sanzione è sproporzionata perché commisurata al capitale detenuto all’estero e non al reddito evaso (nel caso del tutto inesistente), ci si troverebbe di fronte ad una evidente violazione del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e della direttiva 361/88/Cee sulla liberalizzazione dei movimenti di capitale. Il tema è destinato a diventare di grande attualità soprattutto da quando è operativo lo scambio automatico di informazione (Crs-Fatca) non solo con i Paesi europei, ma con molti paesi extraUe.

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