Imposte

L’utility token della start up resta neutro rispetto all’Iva

L’interpello delle Entrate assimila questi strumenti a documenti di legittimazione. Il caso sollevato da una società riminese che tutela il copyright musicale

di Alessandro Galimberti

La cessione di utility token nel corso dell’Ico per ottenere sconti su un servizio futuro non è soggetta a Iva e tale regime rimane fino a quando il possessore li utilizzerà per acquistare il servizio proposto. Dal punto di vista sistematico questi nuovi prodotti digitali potrebbero essere assimilati ai «documenti di legittimazione» dell’articolo 2002 del Codice civile («documenti che servono solo a identificare l’avente diritto alla prestazione»), poiché «conferiscono al portatore il diritto di ottenere dalla società una prestazione a prezzo ridotto rispetto a chi tale token non possiede».

L’agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Piccole e medie imprese - torna su uno dei temi fiscali più attuali rispondendo all’interpello di una startup di Rimini attiva nel campo dei diritti d’autore. Pur in forma sintetica e senza allegare documentazione specifica, l’istante - assistito da Andrea Cesaretti - premette di svolgere attività di protezione del diritto d’autore mediante «notarizzazione delle opere in blockchain». Una volta registrato sul sito della startup, l’utente carica il file musicale in formato mp3, il sistema di intelligenza artificiale esegue un test per verificare che l’opera non sia protetta da copyright di terzi e, in ipotesi negativa, il deposito viene bloccato e l’utente avvisato via mail. Nel caso di superamento del test, invece, il sistema: appone la marca temporale sul file, invia il certificato di deposito all’utente tramite email, deposita il file nella blockchain. L’utente paga il servizio via paypal e la società emette fattura assoggettando a Iva ordinaria l’importo pagato. Qui si inserisce il (futuro) utility token, che viene emesso per permettere ai clienti di ricevere uno sconto sul servizio rispetto al prezzo praticato.

Lo scopo dell’Ico, come avviene in questi contesti, è quindi di reperire sul mercato risorse per completare l’infrastruttura tecnologica e per c oprire le spese di gestione fino al raggiungimento del punto di equilibrio economico.

La soluzione proposta dal contribente è pertanto di considerare l’Ico come cessione che ha per oggetto denaro o crediti in denaro e, conseguentemente,esclusa nel campo di applicazione dell’Iva, che scatta con aliquota ordinaria solo all’atto dell’acquisto del servizio di deposito delle opere da parte dei possessori degli utility token. Soluzione sostanzialmente condivisa dall’Agenzia, con riserva comunque di adeguata istruttoria sul whitepaper non ancora inviato e con ulteriore riserva su «adattamenti in adeguamento al mutato indirizzo della prassi internazionale in materia di crypto-assets oppure all’intervento di una regolamentazione nazionale». In riferimento alle precedenti risposte 14 del 28 settembre 2018 e 110 del 20 aprile 2020, la Direzione centrale sottolinea che acquistando token «si effettua un investimento del proprio risparmio remunerato in vario modo» tra security (per dividendi futuri) o utility rappresentativi di diritti diversi. I token della startup emiliana non possono essere assimilati ai fini Iva ai voucher perchè «nelle forme più evolute, dopo l’emissione gli utility token tendono a mutare la loro natura per assumerne una mista, ossia a metà con quella degli strumenti di investimento o di pagamento». Tanto è vero che lo stesso istante specifica che «la prestazione di servizi da parte della società potrebbe anche non realizzarsi nonostante il successo dell’offerta pubblica del token». Da qui l’equiparazione a documento di legittimazione che non assume rilevanza ai fini Iva non integrando una prestazione di servizi o una cessione di beni, limitandosi a identificare l’avente diritti. Il pagamento è quindi qui una «mera movimentazione di carattere finanziario».

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