La cancellazione dal Registro imprese non si cancella
Non si può ottenere la cancellazione del provvedimento con cui il Registro delle imprese ha cancellato, ai sensi dell’articolo 2490, comma 6, del Codice civile, una società di capitali che, per oltre tre anni consecutivi, non abbia depositato il proprio bilancio (in quanto, ai sensi dell’articolo 2495 del Codice civile, il provvedimento di cancellazione ha generato l’estinzione della società cancellata dal registro camerale). Questa la decisione del giudice del Registro delle imprese presso il Tribunale di Roma con il decreto n. 6466/2016 depositato il 29 agosto 2016, ma divulgato solo di recente.
Nel caso giunto all’esame del giudice romano i soci di una società immobiliare avevano dunque chiesto al Giudice del Registro delle imprese di emettere un decreto di cancellazione del provvedimento con il quale il Registro aveva disposto la cancellazione di detta società dal Registro stesso a causa del mancato deposito del bilancio per oltre tre anni; e ciò adducendo che la società in questione era «nel pieno svolgimento delle sue attività».
Infatti, ai sensi dell’articolo 2490, comma 6, del Codice civile, «qualora per oltre tre anni consecutivi non venga depositato il bilancio di cui al presente articolo, la società è cancellata d’ufficio dal registro delle imprese con gli effetti previsti dall’articolo 2495». A sua volta, l’articolo 2495 del Codice civile sancisce che «ferma restando l’estinzione della società» (e quindi dando per scontato che la cancellazione determina l’estinzione della società) «dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti»:
«nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione»; nonché
«nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi».
Il giudice ha dunque respinto l’istanza di “cancellazione della cancellazione”, considerando anzitutto che la finalità degli articoli 2490 e 2495 del Codice civile «risiede nell’interesse, di natura pubblicistica, alla eliminazione di quelle società la cui inerzia costituisce sintomo di estinzione e, dunque, alla eliminazione di società non più da tempo operanti». Inoltre, il giudice ricorda la sentenza 6070/2013 della Cassazione, a Sezioni unite, nella quale è stato osservato che, dopo la riforma del diritto societario del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal Registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:
l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che essi fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore, giudiziale o extragiudiziale (il loro mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo).
Pertanto, secondo il giudice romano, sulla base delle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni unite della Cassazione, l’esistenza di un fenomeno successorio impedisce di ravvisare ogni possibilità di procedere alla cancellazione del provvedimento di cancellazione di una società, dato che essa si è estinta.