La Cassazione boccia il Fisco che applica il ricarico dello studio di settore
Sette anni di liti inutili senza alcun incasso per l’agenzia delle Entrate, peraltro condannata a pagare le spese di giudizio. Per i giudici di legittimità, sbaglia l’ufficio dell’agenzia delle Entrate di Siracusa «che ha ritenuto, utilizzando studi di settore, che le percentuali di ricarico indicate dall’impresa … dovessero essere aumentate del 200%, determinando, in tal modo, un maggiore reddito, su cui è stata recuperata una maggiore imposta» (Cassazione, sentenza 9932/2017, depositata il 19 aprile 2017). Proseguono quindi le bocciature degli uffici che emettono accertamenti basati sui dati o sui ricarichi presunti dagli studi di settore.
Dal 2017 aboliti gli studi di settore
Dal 2017, peraltro, gli studi di settore sono stati aboliti e sono stati sostituiti da indici di affidabilità fiscale. Ai contribuenti più affidabili saranno concessi benefici anche in tema di esclusione o riduzione dei termini per gli accertamenti, per stimolare l’adempimento spontaneo degli obblighi fiscali e migliorare la collaborazione tra Fisco e contribuenti. Insomma, basta con l’automatismo dello strumento induttivo che, in ogni caso, non passa più l’esame dei giudici tributari.
Il Fisco non incassa nulla e paga le spese di giudizio
Nel caso esaminato dalla Cassazione, l’agenzia delle Entrate, ufficio di Siracusa, nei confronti di un contribuente esercente l’attività di “pizzeria per asporto”, aveva emesso un accertamento nel 2010, per l’anno 2006, accertando ricavi per 453.183,00 euro, determinati applicando al costo del venduto, pari a 151.061,00 euro, il ricarico del 200%. Per l’ufficio, era infatti quello del 200% il ricarico mediamente praticato nel settore. Contro l’accertamento dell’ufficio, è stato presentato ricorso, che i giudici di primo grado hanno accolto in parte, riducendo al 150% il ricarico sul costo del venduto (sentenza della Commissione tributaria provinciale di Siracusa, n. 181-1-12, depositata il 27 aprile 2012).
Contro la sentenza dei giudici di primo grado, il contribuente ha presentato appello, che i giudici di secondo grado hanno parzialmente accolto, determinando il ricarico da applicare sul costo del venduto nella misura del 100 per cento. In pratica, con il ricarico del 100% applicato al costo del venduto di 151.061,00 euro, non esisteva alcun ricavo superiore a quelli dichiarati dal contribuente che, peraltro, aveva già adeguato i ricavi dichiarati di 302.686,00 euro a quelli presunti dallo studio di settore.
Dopo la bocciatura dei giudici di secondo grado, sentenza n. 2524/16/2015, emessa il 26 maggio 2015, dalla Commissione Tributaria Regionale di Palermo, sezione staccata di Siracusa, depositata il 9 giugno 2015, l’ufficio ha proposto ricorso per Cassazione. Per i giudici di legittimità, il ricorso dell’ufficio è infondato e va pertanto confermata la tesi dei giudici di secondo grado «che, in grado di appello, hanno ritenuto ingiustificata ed anche non provata adeguatamente dall’ufficio, una percentuale di ricarico del 200%, stabilendo come congrua la diversa percentuale del 100%».
Per l’ufficio, il ricorso doveva essere accolto in quanto era sbagliato che la Commissione tributaria regionale avesse attribuito all’agenzia delle Entrate l’onere di fornire ulteriori prove, oltre allo studio di settore. Così non è per i giudici di legittimità, in quanto «La ratio della decisione è diversa. Essa non richiede all’Agenzia una prova in più, semplicemente assume che la prova fornita non è sufficiente, perché lo stesso studio di settore non indicherebbe quale periodo è stato considerato e quali le imprese prese a parametro di confronto. Non dunque un onere probatorio ulteriore rispetto a quello richiesto dalla legge, ma l’insufficienza delle prove fornite nell’adempimento dell’onere di legge». Insomma, diversamente da quanto sostenuto dall’ufficio, non si può emettere l’accertamento basato solo sullo studio di settore o sugli altri parametri dello strumento induttivo. La Cassazione, oltre a rigettare il ricorso, ha anche condannato l’ufficio di Siracusa «a pagare alla società contribuente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nella somma di euro 5.600,00, oltre euro 200,00 di esborsi, oltre il 15% di spese generali, oltre accessori di legge» (Cassazione, sentenza 9932/2017, depositata il 19 aprile 2017). Insomma, dopo circa 7 anni di contenzioso, l’ufficio, oltre a non incassare nulla, è stato anche condannato a rimborsare al contribuente ingiustamente disturbato le spese di giudizio.
La sentenza n. 9932/2017 della Cassazione