Controlli e liti

La Cassazione insiste: negli «accertamenti bancari» la prova tocca al contribuente

L’ordinanza 11696 trattare impropriamente le risultanze delle indagini finanziarie come presunzioni legali

di Dario Deotto

In tema di “accertamenti bancari” – nello specifico, ai fini dell’Iva – grava sul contribuente l’onere della prova che deve portare a dimostrare in modo analitico l’estraneità di ciascuna operazione ai fatti imponibili. Ma il giudice di merito è tenuto a effettuare una verifica rigorosa in relazione alle prove fornite dal contribuente, avendo riguardo a ogni singola movimentazione, dandone conto in motivazione.

È il principio di diritto che deriva dall'ordinanza 11696/21, depositata il 5 maggio, della Cassazione. Principio che continua a gettare nello sconforto quando, contro ogni evidenza di legge, fa riferimento agli “accertamenti bancari”.

La Cassazione, in sostanza, continua a ripetere che le norme (in questo caso quelle dell’Iva, dell’articolo 51 del Dpr 633/1972) relative alle indagini finanziarie comportano l’inversione dell’onere della prova sul contribuente, trattandosi, sempre secondo la Corte, di presunzioni legali relative. A tal fine, i giudici di legittimità affermano che la prova del contribuente deve riguardare ogni movimento contestato. Il giudice di merito deve poi verificare dettagliatamente tutte le prove fornite dal contribuente per ogni singola movimentazione.

Il fatto che, tuttavia, come si diceva, lascia perplessi è che la Corte continui a fare riferimento agli “accertamenti bancari”, come se si trattasse di un modello di accertamento. Basterebbe leggere le norme (articolo 32 del Dpr 600/1973 e articolo 51 del Dpr 633/1972) per comprendere l'evidente erroneità della tesi della Cassazione. Si tratta di disposizioni che, infatti, non legittimano ex se la rettifica, ma che disciplinano semplicemente l'attività istruttoria.

E non si tratta affatto di presunzioni legali (relative). Le norme in questione stabiliscono infatti che le risultanze delle indagini finanziarie vengono «poste a base delle rettifiche e degli accertamenti». Il fatto che le operazioni finanziarie compiute dal contribuente siano «poste a base» delle rettifiche non può affatto portare ad affermare che l’ammontare delle stesse possa essere “tradotto” automaticamente in un maggiore reddito (o in maggiori operazioni imponibili Iva) di importo equivalente a tali operazioni, che potrebbe portare ad affermare la valenza della previsione come presunzione legale. Porre a base significa che, sulla base del dato rinvenuto dal Fisco, ne possono derivare determinate conseguenze che non necessariamente equivalgono al dato di partenza. La locuzione «poste a base» rivela proprio la volontà del legislatore di evitare la trasformazione degli elementi raccolti nell’attività istruttoria in prove di evasione.

Ma non solo. Il dato normativo degli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 stabilisce che le movimentazioni per le quali il contribuente non è in grado di fornire giustificazione sono poste a base di ben precise attività di rettifica e accertamento, e cioè quelle disciplinate dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del Dpr 600/1973 (per le imposte sui redditi) e dagli articoli 54 e 55 del Dpr 633/1972 (per l’Iva). Questo significa che i dati e gli elementi tratti dalle indagini finanziarie devono poi essere “canalizzati” all’interno delle specifiche disposizioni che disciplinano tali ultime rettifiche (tali modelli di accertamento). All’interno delle quali non si rinviene nessuna presunzione legale.

Non si può proprio – evidentemente – parlare (neanche al bar) di “accertamenti bancari”.

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