Controlli e liti

La chance-rottamazione non aggira la confisca

di Giovanni Negri

La possibilità di accesso alla rottamazione delle cartelle non blocca le misure di prevenzione, sia personali, sorveglianza speciale, sia reali, confisca. Non quando la pericolosità sociale emerge da altri fattori e non solo da un’elusione fiscale sia pure continuata.

Anche con questi argomenti la Cassazione, Sesta sezione penale, sentenza 50437 depositata ieri, ha respinto il ricorso presentato da una coppia di imprenditori contro il decreto della Corte d’appello di Salerno. Quest’ultima aveva valorizzato le prove dell’intensa attività lavorativa dei due imprenditori, non dichiarata al Fisco e tale da dare luogo a una sottrazione sistematica di reddito all’amministrazione finanziaria; inoltre, la pericolosità sociale era stata dedotta da tutta una serie di precedenti, dalla ricettazione, all’associazione per delinquere finalizzata al falso e alla truffa, che emergeva dal casellario giudiziale.

La difesa aveva sostenuto, tra l’altro, che i due imputati non avevano mai commesso reati tributari collegati all’evasione fiscale nello svolgimento dell’attività d’impresa, non avendo mai raggiunto la soglia di imposta evasa dopo la quale scatta la sanzione penale. Dalle cartelle esattoriali emesse, cioè, nei confronti dei due imprenditori, soci di una società a ristretta base societaria, invece, il, tetto di rilevanza penale non risultava mai superato e, anzi, il debito in questione rientrava senza difficoltà nell’ambito della definizione agevolata disciplinata dalla legge 225 del 2016 (rottamazione delle cartelle).

Per la Cassazione, innanzitutto, la confisca di prevenzione non è contestabile perché applicata a fatti verificatisi anteriormente all’allargamento della misura dai reati di mafia ad altri delitti, quando riscontrata la sproporzione tra beni posseduti e attività economica. Il periodo espressione della pericolosità sociale e quello di acquisto dei beni oggetto della confisca, infatti, coincidono.

L’evasione fiscale non può poi essere addotta come scusante, visto che la confisca punta proprio a sottrarre alla disponibilità dell’interessato tutti i beni frutto di attività illecite, senza distinguere se queste attività sono di natura mafiosa.

Pertanto, nella lettura della Cassazione, «è stata ritenuta la sussistenza di indici di pericolosità consistenti in indizi di partecipazione a varie attività delittuose diverse dalla mera evasione fiscale e che quest’ultima è stata valutata dai giudici di merito quale possibile giustificazione della disponibilità di beni, escludendone sia l’astratta idoneità che, comunque, non ritenendola dimostrata in concreto».

Infondato è poi anche il motivo di ricorso basato sul presupposto che le misure di prevenzione siano state applicate solo per l’elusione fiscale continuata. È vero infatti che la Corte d’appello tiene conto soprattutto di questa condotta, ma questa non è l’unica ragione che fonda il giudizio di pericolosità sociale. «Quindi non ha alcuna funzione la differenziazione tra violazione fiscale costituente reato (in ragione della “quantità” della stessa) e violazione che tale non è nè rileva la possibilità di adesione a forme di condono fiscale», come è il caso della rottamazione.

Si tratta infatti di circostanze che la sentenza giudica irrilevanti per la pericolosità sociale, che è invece fondata su una pluralità di indici e neppure possono contare per la giustificazione della provenienza dei beni.

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