La dichiarazione d’intento non basta senza la qualifica di esportatore abituale
Il contribuente non può acquistare o importare beni e servizi senza il pagamento dell’Iva se non possiede la qualifica di esportatore abituale. Il semplice rilascio al fornitore della dichiarazione d’intento non legittima l’inapplicabilità dell’imposta in assenza dei requisiti sostanziali per poterla emettere. Il plafond, che rappresenta solamente un parametro quantitativo, serve unicamente a stabilire l’ammontare oltre il quale è inibita la possibilità di acquistare in sospensione d’imposta. È quanto emerge dalle motivazione della sentenza 15835/2018 della Cassazione depositata lo scorso 15 giugno ( clicca per consultare il testo ).
L’iter della controversia
L’agenzia delle Entrate ha rettificato la posizione Iva del contribuente negando il diritto di usufruire del plafond ai fini della sospensione del pagamento dell’Iva.
In particolare, l’ufficio ha contestato l’assenza delle operazioni in scambi internazionali indispensabili per acquisire lo status di esportatore abituale e beneficiare della sospensione d’imposta. Con ricorso il ricorso in Cassazione, affidato a un unico motivo, l’agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza della Ctr che, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’impugnazione proposta avverso l’avviso di accertamento volto a recuperare a tassazione l’Iva dovuta sugli acquisti effettuati in regime di sospensione d’imposta ma, secondo la difesa erariale, in assenza dei presupposti per beneficiare della sospensione.
Si ricorda che possono beneficiare del regime di non applicazione dell’Iva sull’acquisto o l’importazione di beni o di servizi i soggetti passivi che effettuano abitualmente scambi comunitari e extracee quando l’ammontare di queste operazione è superiore al 10% del volume d’affari e nei limiti delle esportazioni od operazioni assimilate registrate nell’anno solare o nei dodici mesi precedenti. Per usufruire della sospensione d’imposta è necessario, inoltre, l’invio al fornitore della dichiarazione d’intento.
La decisione
Nel ritenere fondato il ricorso e prima di affrontare specificatamente la questione, i giudici chiariscono, innanzitutto, che la non imponibilità delle cessioni effettuate nei confronti dell’esportatore abituale incidono non sulla sussistenza, ma soltanto sull’esecutività del debito Iva.
In pratica, la finalità della norma, che non limita il diritto alla detrazione, serve ad evitare che i contribuenti, che effettuano esportazioni e cessioni intracomunitarie rilevanti rispetto al volume d’affari complessivo, si trovino nelle condizioni, per effetto dell’esiguità dell’Iva a debito rispetto a quella matura sugli acquisti, di rimanere costantemente a credito verso l’erario.
Di conseguenza, precisano i giudici, l’acquisto o l’importazione di beni o servizi senza pagamento dell’imposta spetta solamene all’esportatore abituale in relazione al quale, il venir meno dei requisiti per essere qualificato tale, legittima il recupero dell’imposta e l’applicazione delle sanzioni.
Cassazione, sentenza 15835/2018