La mancata dichiarazione del professionista legittima l’accertamento d’ufficio
È legittimo l’avviso di accertamento a carico di un professionista che non abbia presentato la dichiarazione dei redditi, qualora la ricostruzione del reddito di lavoro autonomo sia avvenuta considerando soltanto i versamenti bancari quali compensi, ma ignorando i prelevamenti riconducibili ai costi, giacché, secondo l’Ufficio, corrispondenti invece sia a costi dell’attività professionale che a spese dei familiari. È questa la singolare conclusione raggiunta dalla Cassazione, con l’ ordinanza 14950/2019 .
Il professionista aveva dimostrato, invero, il fitto dello studio e le relative utenze, chiedendo che venissero scomputati quali costi dell’attività professionale, considerando anche in via forfettaria ulteriori spese sulla base degli studi di settore o di casi analoghi, ma l’Ufficio, a fronte della mancata dimostrazione documentale di tali spese, non aveva in alcun modo considerato i prelevamenti riconducibili a costi; in definitiva, nessun componente negativo di reddito era stato contrapposto ai compensi accertati con le indagini finanziarie.
La Suprema Corte ha innanzitutto puntualizzato che, nel caso di specie, non si trattava né di accertamento sintetico né di analitico-induttivo, ma d’ufficio ex articolo 41 del Dpr 600/1973, atteso che era stata omessa la dichiarazione annuale e, in tal caso l’Ufficio, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, determina il reddito complessivo del contribuente avvalendosi di qualsiasi elemento probatorio e potendo fare ricorso al metodo induttivo (puro), ovvero a presunzioni cosiddette supersemplici, con inversione dell’onere della prova (contraria) a carico del contribuente (ex pluris, Cassazione 1506/2017, 14930/2017, 15027/2014).
Quindi l’Ufficio ben poteva, nel caso di specie, avvalersi delle indagini finanziarie compiute e, nello specifico, utilizzare i versamenti bancari per accertare i compensi professionali.
In sede di accertamento induttivo puro, però, il Fisco deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe a imposta il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva (Cassazione 26748/2018, 28740/2017).
Anche nel caso di specie, pertanto, l’Ufficio avrebbe dovuto considerare i costi per determinare il reddito professionale, e non soltanto i ricavi corrispondenti ai versamenti; mentre, a ciò non aveva provveduto perché i prelevamenti sarebbero stati riconducibili sia a costi dell’attività che a spese dei famigliari.
La Cassazione ha confermato l’accertamento, atteso che il contribuente non aveva provato i costi; eppure, anche nella pronuncia stessa è stato ribadito che, se non è possibile una dimostrazione puntuale dei costi, questi ultimi, in sede di accertamento induttivo puro (come quello d’ufficio in oggetto), devono essere determinati forfettariamente in via presuntiva, perché non è legittimo tassare il profitto lordo, corrispondente ai soli compensi (Cassazione 14089/2017).
Cassazione civile, sezione V, ordinanza 14950 del 31 maggio 2019