Imposte

La perdita del requisito di «esportatore abituale» non pregiudica l’uso del plafond Iva

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di Matteo Ravera e Benedetto Santacroce

È possibile l’utilizzo del plafond Iva anche da parte di un’impresa che a causa di una riorganizzazione societaria o di una cessione di un ramo di azienda abbia perso lo status di esportatore abituale a condizione che nell’anno precedente rispettasse tutti i criteri previsti dalla norma. Questa innovativa posizione è stata di recente espressa dall’agenzia delle Entrate con una risposta fornita a un contribuente a seguito di una proposizione di uno specifico interpello. In pratica, l’operatore nell’anno 2016 aveva maturato un plafond Iva e, in quell’anno, rispettava tutti i criteri oggettivi e soggettivi richiesti dalla specifica disciplina. Al termine del 2016 a seguito di una riorganizzazione societaria aveva ceduto il ramo d’azienda che effettuava tutte le transazioni con l’estero (cessioni intracomunitarie, esportazioni e prestazioni internazionali). In tale riorganizzazione non aveva provveduto, però, a cedere il relativo plafond alla società acquirente. Pertanto si poneva il problema di comprendere se tale situazione consentisse all’operatore di fruire del diritto correttamente maturato, pur non avendo nel 2017 lo status di esportatore abituale.

L’articolo 8, comma 1, lettera c), e comma 2, del Dpr 633/1972 consente a coloro che effettuano cessioni all’esportazione e operazioni assimilate, in presenza di determinate condizioni ed entro alcuni limiti, di poter acquistare ed importare beni e servizi senza pagamento dell’Iva. In particolare, affinché possano realizzare acquisti senza il pagamento dell’imposta, i soggetti devono avere lo status di esportatore abituale. Acquisiscono lo status di esportatore abituale i contribuenti che, nell’anno solare precedente o negli ultimi dodici mesi, hanno registrato cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie o altre operazioni assimilate per un ammontare superiore al 10% del volume d’affari. Non possono usufruire del regime previsto per gli esportatori abituali coloro che iniziano l’attività, relativamente al primo periodo di imposta ovvero ai primi dodici mesi di attività, in quanto non hanno ancora un periodo temporale cui far riferimento per la maturazione del plafond. L’ammontare del «plafond disponibile» coincide con l’ammontare delle operazioni attive, che danno diritto all’acquisizione dello status di esportatore abituale. I soggetti che possiedono lo status di esportatore abituale possono effettuare acquisti e importazioni di beni e servizi senza applicare l’Iva nei limiti dell’ammontare complessivo delle esportazioni (ed operazioni assimilate) registrate nell’anno solare o nei 12 mesi precedenti. Per quanto riguarda il momento di utilizzo del plafond non va considerato il momento di registrazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali di importazioni, bensì il momento di “effettuazione” di queste operazioni.

Proprio sulla base della lettura della norma l’Agenzia rileva che non risulta alcun specifico riferimento all’obbligo per il contribuente che abbia acquisito lo status di esportatore abituale nell’anno solare precedente, di effettuare esportazioni o operazioni assimilate anche nell’anno di utilizzo del plafond né al fatto che l’intento di non destinare gli acquisti effettuati a successive operazioni di esportazione costituisca causa ostativa per l’applicazione del regime.

A tale lettura si giunge anche interpretando correttamente la prassi emessa dall’Agenzia – circolare 145/E/1998 – che specifica che l’effettiva esportazione dei beni in territorio estero o l’intenzione di utilizzare gli stessi per successive esportazioni non costituiscono requisiti richiesti dalla normativa. Al contrario, non si oppone a tale lettura né il contenuto della lettera d’intenti né l’obbligo dichiarativo che nell’anno di utilizzo richiede anche l’esposizione del volume d’affari e dell’ammontare delle cessioni all’esportazioni e delle operazioni assimilate.

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