Controlli e liti

La presunzione di cessione o di acquisto ammette la prova contraria

Accertamento bocciato per la merce conservata in un deposito accanto al negozio che non era stato segnalato al Fisco

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di Alessandro Borgoglio

La destinazione dei beni in un deposito non dichiarato di pertinenza dell’impresa non dà luogo a presunzione di avvenuta cessione, se il passaggio in esso è accompagnato da particolari modalità di tenuta della contabilità - bolle ovvero annotazioni in appositi registri - o da comportamenti concludenti tenuti dal contribuente da cui desumere il luogo di destinazione degli stessi beni, come nel caso in cui il contribuente, al momento dell’accesso, abbia esibito un contratto di comodato per l’utilizzo del deposito, collocato di fronte al negozio, non preventivamente comunicato al Fisco. È questo il principio stabilito dalla Cassazione, con la sentenza 1217/2020.

In base all’articolo 1 del Dpr 441/1997, si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi rappresentanti; tra tali luoghi rientrano anche le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi e i mezzi di trasporto dell’impresa, la cui disponibilità, se non emerge dall’iscrizione al registro delle imprese, alla Camera di commercio o da altro pubblico registro, deve risultare dalla comunicazione dati Iva ex articolo 35 del Dpr 633/1972, se effettuata anteriormente al passaggio dei beni, nonché da altro documento dal quale risulti la destinazione dei beni esistenti presso i luoghi su indicati, annotato in uno dei registri in uso.
La presunzione di cessione non opera se è dimostrato che i beni stessi:

a) sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti;

b) sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato.

Secondo i giudici di legittimità, le presunzioni di cessione e di acquisto (prevista quest’ultima dall’articolo 3 del Dpr 441/1997), essendo presunzioni legali relative, annoverabili tra quelle cosiddette miste, ammettono la prova contraria da parte del contribuente, ma solo entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova specificamente previsti (Cassazione 16483/2006).
Si esclude, dunque, una completa libertà di prova contraria, e questo all’evidente fine di contrastare l’elusione della normativa, che potrebbe essere aggirata affidandosi a prove aventi un limitato grado di affidabilità (Cassazione 1976/2015).

Già qualche anno fa la Suprema Corte aveva stabilito che con l’esibizione dei documenti di trasporto è possibile superare le presunzioni di cessione e di acquisto, avvalendosi, appunto di mezzi di prova prefigurati dalla legge (Cassazione 639/2019).

Nel caso oggetto della sentenza odierna, i verificatori avevano effettuato un accesso presso un negozio di elettrodomestici e, sulla base delle annotazioni provvisorie contenute nelle schede di magazzino, avevano riscontrato le giacenze fisiche, non rilevando alcuni beni che in realtà risultavano a magazzino. Il contribuente, allora, aveva immediatamente esibito, al momento dell’accesso, il contratto di comodato relativo al deposito posto dinnanzi al negozio, presso cui si trovavano quei beni contestati dai verificatori e per i quali questi ultimi avevano ritenuto operante la presunzione di cessione “in nero”.

La Cassazione ha bocciato l’accertamento dell’Ufficio, atteso che, se da una parte il contribuente non aveva comunicato tale deposito al Fisco, dall’altra parte dal suo comportamento concludente poteva agevolmente desumersi la destinazione dei beni in oggetto presso il deposito antistante il negozio.
Del resto, già l’Amministrazione finanziaria aveva ammesso in passato come prova contraria alla presunzione l’esibizione di un contratto di locazione regolarmente registrato (circolare 23 luglio 1998, n. 193/E, paragrafo 1.1).

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