Imposte

La rendita a tempo determinato aggira i paradossi del saggio legale

Risposta a interpello 51/2021: l'interesse a soglie irrisorie aumenta a dismisura il valore imponibile

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di Angelo Busani

Con un’acrobatica interpretazione, e cioè trasformando una rendita vitalizia, disposta per testamento, in una rendita a tempo determinato, l’agenzia delle Entrate ha eluso, con la risposta a interpello 51/2021, la questione della assurda situazione, inerente al calcolo del valore di usufrutti e rendite, provocata dall’abbattimento del saggio dell’interesse legale a una misura irrisoria (a questo tema Il Sole 24 Ore ha dedicato un’intera pagina l’11 gennaio 2021).

L’interpello riguardava una disposizione testamentaria con la quale il testatore Tizio ha lasciato una farmacia al legatario Caio, gravandolo dell’onere di corrispondere una “rendita vitalizia” a favore di Sempronia, vedova di Tizio.

Dato che la rendita si calcola moltiplicando l’annualità (ipotizziamo 24mila euro e cioè 2mila euro al mese) per un dato coefficiente (calcolato dal Mef in base al saggio dell’interesse legale, che è stato fissato nello 0,01 per cento per il 2021): ad esempio, per un 60enne, si tratta, nel 2021, del moltiplicatore pari a 6mila. Ne esce un valore imponibile di euro (24mila x 6mila =) 144milioni.

Su tale valore imponibile, nel caso esaminato nell’interpello, si dovrebbe applicare l’imposta di successione con l’aliquota del 4 per cento (al valore eccedente la franchigia di 1 milione) ottenendo il risultato di un’imposta di euro 5milioni 720mila. Non bisogna spendere tante parole per significare l’assurdità di questa situazione.

Per uscire dall’abnormità (che l’Agenzia non commenta), nella risposta all’interpello si afferma che «la rendita derivante dall’onere imposto al legatario non sembra realizzare una “rendita vitalizia” (come inizialmente previsto nel testamento) ma piuttosto una “rendita a tempo determinato”, essendo stato stabilito dalle parti sia il valore della cosa legata che i tempi e le modalità di pagamento».

Non è comprensibile come una rendita vitalizia disposta a chiare lettere in un testamento possa essere interpretata come rendita a tempo determinato. Fatto sta che questo contribuente, può tirare un respiro di sollievo, in quanto (utilizzando sempre l’esempio di cui sopra), se si ipotizza che la vedova beneficiaria della rendita la percepisca per 30 anni, il valore imponibile scende a euro (24mila x 29,954 =) 718.894 e, quindi, a un importo che, “a occhio nudo”, si rende plausibile (nel caso specifico dell’interpello, trattandosi di un’attribuzione tra coniugi, si tratterebbe di un valore per intero compreso nella franchigia esente).

Il vizio di questa vicenda sta nella statuizione dei coefficienti di moltiplicazione. Essi vennero elaborati, per la prima volta, nel 1986, in occasione del testo unico del registro, quando il saggio legale era stabilmente attestato al 5 per cento (dal 1942). Allora, ne uscivano esiti accettabili. Senonché, dal 1999, l’interesse legale ha cominciato a fluttuare e questa fluttuazione ha provocato, nel tempo, ben 16 aggiustamenti dei coefficienti, tutti effettuati con un criterio rigorosamente matematico, il quale ha prodotto risultati tanto più inconcepibili quanto più il tasso legale si è ridotto.


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