La rinuncia al compenso professionale va iscritta nei libri contabili
La rinuncia al compenso professionale deve essere riconosciuta, iscritta nei libri contabili e in esecuzione di una delibera sociale. È quanto emerge dalla sentenza 2285/08/2017 della Ctr Lombardia (presidente Fanizza e relatore Candido) in materia di accertamenti standardizzati e inversione dell’onere della prova.
Il contribuente impugnava in appello la sentenza di primo grado che aveva ad oggetto due avvisi di accertamento tramite i quali l’Ufficio accertava una maggiore imposta Irpef per gli anni 2007 e 2008 attraverso l’utilizzo del metodo di accertamento standardizzato determinando il reddito in modo automatico mediante l’utilizzo di appositi strumenti matematico/statistici (fattori indice).
Preliminarmente è opportuno ricordare che nell’accertamento standardizzato è ormai orientamento pacifico in giurisprudenza che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo statistico dello scostamento dai parametri o studi di settore. Il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in specie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico e sia necessario adattarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica nel rispetto della reale capacità contributiva (ex multis Cassazione, sentenza 27822/2013 e ordinanza 10046/2016).
Pertanto la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri, ma deve essere rinforzata con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria a carico del contribuente.
Nella sentenza in commento l’ufficio provvedeva ad inviare apposito questionario partendo anche dal presupposto che il contribuente era il legale rappresentante (amministratore/liquidatore) di ben 18 società dalle quali non avrebbe mai percepito nessun compenso; sul punto anche ai giudici d’appello appare poco verosimile che all’assunzione di incarichi , quali quello di legale rappresentante e/o liquidatore di società , principali organi apicali e di rappresentanza, non fosse stato mai corrisposto in tanti anni compenso alcuno.
Il collegio giudicante ritiene quindi invertito l’onere della prova, entra nel vivo della motivazione condividendo e richiamando la pronuncia della Cassazione (19714/2012) secondo cui la natura del compenso professionale rientra tra quelle disponibili e pertanto rinunciabili mediante semplice dichiarazione unilaterale da parte del suo titolare, ma aggiungendo che l’esplicita rinuncia è valida nel momento in cui l’ammontare del mancato compenso va riconosciuto come tale e iscritto nei libri contabili in esecuzione di apposita delibera sociale.
Viene quindi confermata la sentenza di primo grado e condannato il contribuente appellante alla refusione delle spese di lite.