Imposte

La rivalutazione di quote e terreni non ammette ripensamenti già dopo la prima rata

La linea di Entrate e Cassazione va ben considerata alla luce del 14%. Unico spiraglio: dimostrare che l’opzione è stata frutto di un errore materiale, manifesto e riconoscibile

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di Gabriele Ferlito

L’articolo 29 del Dl 17/2022 (decreto Energia) ha riaperto per i termini per rideterminare i valori di acquisto di terreni e partecipazioni (la prima versione risale alla legge 448/2001).
La nuova chance della rivalutazione va però attentamente ponderata, perché la prassi dell’agenzia delle Entrate, confermata dall’orientamento costante della giurisprudenza della Cassazione, non ammette ripensamenti. Così, una volta che si è perfezionata la scelta per la rivalutazione, l’imposta sostitutiva è comunque dovuta e il versamento effettuato non potrà essere chiesto a rimborso. Con la nuova legge di rivalutazione ciò assume ancora maggiore rilevanza, dato che l’imposta sostitutiva è stata innalzata nella misura del 14%, in luogo dell’11% previsto lo scorso anno.

Le condizioni necessarie

Ricordiamo che possono beneficiare della rivalutazione solo le persone fisiche, le società semplici e gli enti non commerciali. Restano esclusi i titolari di reddito di impresa.

Possono essere oggetto di rivalutazione le partecipazioni (sia qualificate, sia non qualificate) e i terreni, sia agricoli che edificabili. Entro il 15 giugno 2022 si deve versare l’imposta sostitutiva (o la prima delle tre rate, in caso di pagamento dilazionato) e dovrà essere redatta la perizia di stima.

La posizione delle Entrate

L’agenzia delle Entrate ha sempre sostenuto (si veda già la circolare 35/E/2004, ma da ultimo anche la circolare 1/E/2021) che la rivalutazione e la connessa obbligazione tributaria si considerano perfezionate con il versamento dell’intero importo dell’imposta sostitutiva oppure, in caso di pagamento rateale, con il versamento della prima rata. Con la conseguenza che, coloro che hanno effettuato il versamento dell’imposta dovuta o di una o più rate della stessa, non hanno diritto al rimborso dell’imposta pagata e sono tenuti, nell’ipotesi di pagamento rateale, a effettuare i versamenti successivi.

Le pronunce di Cassazione

Questa interpretazione è stata più volte avallata dalla Cassazione, che al più riconosce la possibilità di richiedere il rimborso, ovvero di non pagare il saldo, nelle ipotesi (residuali) in cui si possa dimostrare che l’opzione per la rivalutazione è stata frutto di un errore materiale, manifesto e riconoscibile.

Tra le tante pronunce sul punto, si può citare l’ordinanza 19215/2017, con la quale la Suprema corte ha precisato che «in materia di plusvalenze, l’imposta sostitutiva ex articolo 7 del L. 448 del 2001, in quanto frutto di una libera scelta del contribuente, il quale opta per la rideterminazione del valore del bene con conseguente versamento del dovuto nella prospettiva di un risparmio in caso di futura cessione, non rientra tra le dichiarazioni di scienza suscettibili di essere corrette in caso di errore, bensì tra le manifestazioni di volontà irretrattabili, salvo che nel caso di errore obiettivamente riconoscibile ed essenziale ai sensi dell’articolo 1428 del Codice civile, non sussistendo, pertanto, i presupposti per il ricorso alla procedura del rimborso ex articolo 38 del Dpr 602 del 1973».

Ancora più di recente, gli stessi principi sono stati confermati dalla Suprema corte con la sentenza 14947/2018 e con l’ordinanza 41953/2021.

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