Controlli e liti

La Ue promette la lista dei paradisi fiscali entro l’anno

di Beda Romano

L’ultimo scandalo internazionale in campo fiscale ha spinto ieri i Ventotto a rilanciare la lotta contro l’evasione. Dopo una due-giorni di riunioni qui a Bruxelles, i Paesi membri dell’Unione hanno espresso in occasione del vertice Ecofin di ieri la speranza di trovare un accordo entro fine anno su una lista comune dei paradisi fiscali in giro per il mondo. Il tema è controverso, tanto che le discussioni di ieri hanno mostrato sempre divergenze, in particolare sull’ipotesi di adottare sanzioni contro gli stessi paradisi fiscali.

Sull’urgenza di lottare contro l’elusione fiscale delle multinazionali tecnologiche - Google, Facebook e Apple - si è soffermata ieri anche il commissario per la Concorrenza Margrethe Vestager che, in un duro attacco ha accusato i colossi online di usare scorciatoie e distorcere la concorrenza abusando della loro posizione dominante. «Vogliamo il libero mercato - ha detto durante una conferenza a Lisbona - ma il paradosso del mercato libero è che qualche volta dobbiamo intervenire». È una questione di «avidità e paura», ha aggiunto, che combinate con il potere rendono il cocktail velenoso. «Dobbiamo riprenderci indietro la democrazia - ha concluso - non possiamo lasciarla né a Facebook né a Snapchat».

La Ue, intanto, cerca un accordo sui paradisi fiscali. «La nostra intenzione è di approvare la lista in dicembre», ha detto ieri Toomas Toniste, il ministro delle Finanze dell’Estonia, attualmente presidente di turno dell’Unione. «Speriamo che il nuovo scandalo – il cosiddetto Paradise Papers – creerà una nuova motivazione tra i Paesi membri perché si giunga rapidamente a una intesa», ha aggiunto durante la stessa conferenza stampa qui a Bruxelles il vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis, confermando l’impegno alla lotta contro l’evasione.

La Commissione europea ha presentato nel 2015 una lista di 30 giurisdizioni che i Ventotto considerano non cooperative in campo fiscale. Nel contempo, l’esecutivo comunitario ha proposto ai Paesi membri di mettersi d’accordo su una lista dei paradisi fiscali comune a tutti i governi europei. L’obiettivo è di rafforzare la lotta contro l’evasione fiscale a livello internazionale dopo i recenti scandali in questo ambito.

Successivamente, nel novembre dell’anno scorso, i Ventotto si sono accordati su alcuni criteri con cui stilare la lista: questi sono la trasparenza fiscale, l’equità fiscale e il buon governo in campo tributario. L’assenza di imposizione fiscale tout court non sarà un parametro sufficiente perché un Paese venga considerato un paradiso fiscale, ma dovrebbe essere un indicatore per fare una valutazione compiuta.

Ha spiegato ieri in una conferenza stampa alla fine della riunione ministeriale il ministro dell’Economia italiano Pier Carlo Padoan: «Si sta lavorando» su una lista comune. Si sta affinando il lavoro sulla definizione dei criteri». Secondo un resoconto della riunione preparato da un partecipante, la discussione tra i ministri ha riguardato tra le altre cose l’adozione o meno di contromisure nei confronti dei Paesi selezionati a far parte della lista dei paradisi fiscali.

Su questo aspetto, il vice presidente Dombrovskis ha ammesso che «un accordo su eventuali contromisure deve ancora essere trovato». D’altro canto, nelle discussioni, il Lussemburgo e Malta (ma non solo) si sono espressi contro eventuali sanzioni, lasciando intendere che la sola presenza del Paese sulla lista dovrebbe essere sufficiente per isolarlo dal resto della comunità internazionale. Si può presumere che questi due Paesi abbiano legami privilegiati con alcuni Paesi potenziali paradisi fiscali.

Sul fronte opposto, vi sono la Commissione europea e la Francia, che vogliono contromisure. «Gli Stati che non forniscono le informazioni necessarie per lottare contro l’evasione fiscale non devono avere più accesso al finanziamento dei grandi organismi internazionali, come il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale», ha detto il ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire. A complicare la trattativa europea è anche il Regno Unito: alcune delle sue ex colonie sono paradisi fiscali.

Sempre ieri, i Ventotto non sono riusciti a trovare un accordo su un pacchetto che regolamenti l’imposizione nel commercio elettronico. Il vice presidente Dombrovskis ha detto che «i Paesi hanno avvicinato le loro posizioni in vista sperabilmente di una intesa entro fine anno».

La riforma in discussione prevede che le società si registrino nel proprio Paese e lì versino l’imposta sul valore aggiunto. Le autorità nazionali dovranno poi riversare il denaro a seconda dello Stato membro di destinazione del bene.

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