Controlli e liti

Le differenze di inventario innescano le presunzioni di acquisto e vendita

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di Roberto Bianchi

In presenza di differenze inventariali operano le presunzioni di cessione e di acquisto dei beni in evasione di imposta. Presunzioni annoverabili tra quelle legali «miste» che consentono, entro i limiti di oggetto e di mezzi di prova stabiliti a fini antielusivi, la dimostrazione della prova contraria da parte del contribuente. A tale conclusione è pervenuta la Cassazione con l’ordinanza 17481/2019.

Ai fini dell’accertamento, le presunzioni di cessione e di acquisto operano nel momento in cui emergono differenze quantitative scaturenti dal confronto tra le risultanze delle scritture di magazzino o dalla documentazione emessa o ricevuta e la consistenza delle rimanenze registrate e, nell’ipotesi di riscontri documentali, le presunzioni assumono rilevanza anche per i periodi di imposta precedenti.

Tuttavia, le presunzioni di cessione non operano se il contribuente è in grado di comprovare che i beni sono stati impiegati per la produzione, perduti o distrutti o consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato, o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato o di altro titolo non traslativo della proprietà.
Ci si trova pertanto al cospetto di una presunzione legale relativa attraverso la quale la disciplina reputa avvenuto un determinato fatto sino a prova contraria, che tuttavia deve essere fornita utilizzando i mezzi perentoriamente indicati dalla norma.

La Suprema corte, attraverso la sentenza 10915/2015, ha voluto chiarire che la tesi dell’Agenzia è certamente in grado di condizionare l’azione degli Uffici nell’ambito accertativo, ma non certo di influenzare il giudizio sulla sua legittimità allorché sia sfociata in un atto formale di contestazione, rendendosi applicabili in tale contesto esclusivamente le disposizioni di legge, pur avendo contezza che l’idoneità delle differenze inventariali a legittimare l’applicazione della presunzione di cessione e/o di acquisto in evasione di imposta è stata osteggiata dalla dottrina.

Gli sfasamenti possono pertanto essere rilevati anche mediante un mero confronto cartolare tra le rimanenze registrate e le quantità ricostruite sulla base delle fatture altresì con l’ausilio delle scritture di magazzino e in tali circostanze la prova contraria, sebbene limitata, risulta essere esclusivamente a carico del contribuente.

Con il documento di prassi 31/E/2006 l’agenzia delle Entrate ha peraltro evidenziato che tali differenze «non necessariamente sono riconducibili a fenomeni di evasione di imposta, ma si generano anche in modo fisiologico in relazione alla ordinaria dinamica gestionale di un magazzino». Secondo la circolare, inoltre, in tali contesti, il verificatore è sempre tenuto a effettuare un’analisi complessiva della posizione economica, patrimoniale e gestionale dell’azienda sottoposta a verifica. Le presunzioni pertanto operano in ogni caso, ma il verificatore deve prestare la massima attenzione nell’analizzare il reale processo della loro formazione. Del resto, una circolare non può in alcun modo derogare alla norma e pertanto si deve limitare a effettuare un semplice richiamo all’efficienza operativa durante le plurime fasi della verifica.

Il documento di prassi ha trovato spunto nel fatto che le menzionate differenze non erano provocate, nella prevalenza dei casi, dalla volontà del contribuente di sottrarsi dai propri obblighi tributari, ma erano riconducibili a plurime ragioni di carattere organizzativo o funzionale piuttosto che a furti e a errori materiali, sebbene attraverso la sentenza 5300/2001 la Suprema corte avesse già stabilito che, ai fini dell’applicazione delle presunzioni in ambito tributario, non fosse necessaria la sussistenza di un atteggiamento doloso o colposo da parte del contribuente.

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