Imposte

Le Dta «monetizzate» vanno rese utilizzabili già nel 2020

La norma del Dl «cura Italia» mostra margini di incertezza sotto il profilo della decorrenza

Per incentivare la cessione dei crediti deteriorati accumulati negli ultimi anni dalle imprese a causa della crisi finanziaria, il decreto “cura Italia” (all’articolo 55) introduce una nuova forma di incentivo fiscale: la trasformazione delle Dta (deferred tax asset) in credito d’imposta. Con l’obiettivo di sostenere le aziende nella liquidità necessaria ad affrontare l’attuale contesto di incertezza economica.

In particolare, la norma riscrive l’articolo 44-bis del Dl 34/2019, che offriva la medesima agevolazione fiscale (monetizzazione anticipata delle Dta), seppur per finalità diverse (incentivare le aggregazioni di imprese del Mezzogiorno), ma la cui efficacia era ancora sospesa, in attesa dell’autorizzazione della Commissione europea.

La nuova versione della norma eredita dalla precedente il meccanismo agevolativo: cioè la trasformazione in crediti d’imposta delle Dta riferite a determinati componenti (perdite pregresse e eccedenze Ace), qui commisurata in misura proporzionale (20%) al valore dei crediti deteriorati ceduti a terzi entro il 2020. Ma eredita anche il requisito necessario per fruirne: come previsto per la trasformazione delle Dta introdotta “a regime” dal Dl 225/2010, anche per la conversione in esame è infatti richiesto l’esercizio dell’opzione di cui all’articolo 11, comma 1, del Dl 59/2016, con conseguente pagamento del canone annuo dell’1,5%, parametrato alle Dta stesse.

L’opzione e l’efficacia differita
La nuova norma richiede l’esercizio dell’opzione, qualora già non esercitata, entro la chiusura dell’esercizio in cui si verifica la cessione dei crediti deteriorati, dunque entro il 2020, ma con efficacia differita a partire dall’esercizio successivo, dunque dal 2021.
Proprio quest’ultima disposizione potrebbe generare incertezza sulla decorrenza della norma, per lo meno sul suo profilo “finanziario”.

Il dubbio, in particolare, verte su quale sia il momento a partire dal quale il credito d’imposta (derivante dalla trasformazione) sia di fatto utilizzabile (per la compensazione con altri debiti erariali o per il rimborso): se - come da prassi - già alla data di trasformazione in credito d’imposta, che la norma stessa fa coincidere con la data di cessione dei crediti deteriorati; oppure dal momento di efficacia dell’opzione stessa, che è differita all’esercizio successivo, dunque al 2021.

Le ragioni per l’utilizzo dal 2020
Sebbene una prima, istintiva, lettura della norma pare indirizzare alla seconda tesi (utilizzo solo dal 2021), a ben vedere sussistono validi motivi, sia di ordine sostanziale che formale, a sostegno della prima (utilizzo già dal 2020).

Il primo motivo risiede nello spirito della norma stessa, che, come indicato nella relazione illustrativa, «è volta a consentire alle imprese di anticipare l’utilizzo, sotto forma di crediti d’imposta, di importi di cui altrimenti si sarebbe usufruito in anni successivi, così da determinare nell’immediato una riduzione del carico fiscale» e dunque una «riduzione del fabbisogno di liquidità connesso con il versamento di imposte e contributi, aumentando così la disponibilità di cassa in un periodo di crisi economica e finanziaria connessa con l’emergenza sanitaria».

Pare dunque più logico e coerente che le società, al fine di ottenere il beneficio finanziario voluto dalla norma, possano utilizzare il credito d’imposta fin dalla data di cessione dei crediti deteriorati.

Inoltre, anche il dato letterale della norma si presta a un’interpretazione favorevole all’utilizzo dei crediti d’imposta già nel 2020. Si legge, infatti, che la trasformazione delle Dta è subordinata esclusivamente all’esercizio dell’opzione, e non anche all’attesa della sua efficacia. Secondo tale interpretazione, quindi, l’utilizzabilità del credito d’imposta derivante dalla trasformazione non dipende dall’efficacia (differita) dell’opzione, ma solo dall’esercizio della stessa, che infatti può (rectius, deve) essere linearmente eseguita già nel corso del 2020.

L’efficacia dell’opzione e la volontà normativa
In quest’ottica, il differimento dell’efficacia dell’opzione al 2021 potrebbe forse essere espressione della volontà normativa di agevolare ulteriormente le società sotto il profilo della liquidita, in linea con lo spirito della norma stessa, in particolare attraverso la postergazione del versamento del canone.

Oppure, più probabilmente, potrebbe essere frutto di un mero refuso, generato dal particolare contesto d’urgenza in cui è maturata la scrittura del decreto: il differimento dell’efficacia dell’opzione “all’esercizio successivo” era infatti già presente nella versione originaria della norma modificata (articolo 44-bis), in cui tuttavia il differimento appariva senz’altro più coerente, sul piano temporale, con la data prevista per la trasformazione in credito d’imposta, che era anch’essa postergata all’esercizio successivo (in particolare, alla data di approvazione del bilancio della societò risultante dall’aggregazione).

A prescindere dai motivi alla base della specifica locuzione, sarebbe auspicabile – a beneficio di tutti i soggetti potenzialmente interessati dalla nuova norma - che vengano forniti chiarimenti o opportune rettifiche in sede di conversione del Dl 18/2020 “cura Italia”. Anche perché - e questo è un argomento rivelatore delle intenzioni del legislatore - nella relazione tecnica al decreto legge è stimato un impatto già per il 2020 in termini di risorse economiche: il che va tutto a sostegno della decorrenza già da quest’anno.

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