Controlli e liti

Le notizie di stampa provano la conoscenza della crisi di un’azienda

di Patrizia Maciocchi

L’inesistenza del dovere di leggere i giornali non esclude che soprattutto chi dirige un’impresa sia solito leggere quotidiani e settimanali non solo per curiosità ma anche per informarsi. Per questo la pubblicazione di più articoli sulle gravi difficoltà economiche di un’impresa vale come prova presuntiva della conoscenza della crisi in cui versa, anche se il “lettore” non è un operatore finanziario ma un semplice operatore commerciale. La Corte di cassazione con la sentenza 3299 depositata ieri, accoglie il ricorso dei commissari straordinari del Gruppo Cirio Del Monte Spa che chiedevano di affermare l’inefficacia di alcuni pagamenti in favore di una società.

Secondo la Cassazione, aveva sbagliato il giudice d’appello, che aveva ribaltato la sentenza di primo grado favorevole al ricorrente, ad escludere che dalla semplice pubblicazione degli articoli di stampa sulla situazione del gruppo si potesse ricavare la prova, sia pure a livello indiziario, della percezione da parte dell’accipiens della irreversibilità della crisi finanziaria in cui versava il Gruppo Cirio.

Secondo la Corte territoriale prima di tutto non esiste un dovere di lettura, inoltre non si può attribuire uno specifico rilevo ai pur numerosi articoli che riportavano notizie sulle difficoltà in cui si dibatteva il gruppo. In più la società in questione era un operatore commerciale e non un operatore finanziario, in grado di poter cogliere appieno il senso delle informazioni.

La Corte di cassazione non è d’accordo. Non si può, infatti, escludere, in via generale, la possibilità di percepire il dissesto attraverso gli articoli dei giornali. La conclusione tranchant raggiunta dalla Corte di merito si pone in contrasto con il principio della prova presuntiva relativa alla diffusione delle notizie. Nè il valore probatorio può essere escluso per la categoria degli operatori non finanziari, perché questo vale anche per gli operatori commerciali come per risparmiatori, interessati alle notizie del mercato e delle imprese.

Infine, l’inesistenza di un dovere di lettura della stampa, sul quale si è essenzialmente basata la sentenza impugnata, non esclude - spiega la Cassazione - che una notevole parte della popolazione «inclusa quella che collabora all’attività di impresa sia solita consultare la stampa ed informarsi da quanto essa pubblica, anche per la propria utilità oltre che per curiosità».

Cassazione, VI sezione civile, ordinanza 3299 dell’8 febbraio 2017

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