Contabilità

LE PAROLE DEL NON PROFIT/ Terzo settore, più paletti per direzione e coordinamento

di Gabriele Sepio

Nella prima fase di applicazione dei decreti di riforma del Terzo settore un tema di particolare interesse riguarda la possibilità per gli enti no profit di essere costituiti o partecipati da soggetti di altra natura.

L’articolo 4, comma 3 del Dlgs n. 117/2017 (Codice del Terzo settore o Cts) prevede che le amministrazioni pubbliche e associazioni politiche o di categoria non possono assumere la qualifica di ente del Terzo settore (Ets) e, in parallelo, preclude a questi enti di svolgere un ruolo di direzione e coordinamento all’interno degli Ets. La disposizione non fa riferimento ad altre tipologie di soggetti e, pertanto, non sembrano sussistere ostacoli qualora un Ets venga costituito da un soggetto dotato della medesima qualifica e, altresì, nelle ipotesi in cui un ente con scopo di lucro partecipi ad un Ets (si pensi alle fondazioni di impresa costituite da società commerciali).

Da un punto di vista oggettivo, la norma non indica gli elementi che concretizzano un’attività di direzione e coordinamento in questo particolare contesto e ciò lascia aperti alcuni margini interpretativi. Con riguardo alle onlus, l’amministrazione finanziaria aveva chiarito che la prevalenza nella compagine sociale e/o l’assunzione di un ruolo determinante nei processi decisionali da parte di soggetti di altra natura – enti pubblici, società commerciali diverse dalle cooperative, fondazioni bancarie, partiti e movimenti politici, associazioni sindacali, datoriali e di categoria – non comporta di per sé la perdita della qualifica (cfr. circolare n. 38/E/2011).

Occorre, infatti, verificare se l’ente no profit ha rispettato i requisiti formali e sostanziali previsti dalla legge, riscontrando se l’influenza esercitata da soci “eterogenei” abbia effettivamente condotto a comportamenti vietati (ad esempio, esercizio di attività non ammesse o indebite distribuzioni di utili, cfr. sentenza Cassazion civile, sezione tributaria, n. 11148/2013).

Per quanto riguarda le imprese sociali, l’articolo 4, comma 3, del Dlgs n. 112/2017 vieta a società unipersonali, enti lucrativi ed amministrazioni pubbliche di esercitare attività di direzione e coordinamento o detenere il controllo in senso civilistico al loro interno (articolo 2359 cc). Il maggiore grado di dettaglio di questa disposizione, rispetto all’analoga norma contenuta all’interno del Cts, può ricollegarsi al fatto che questi enti assumono veste societaria ed agiscono con modalità commerciali, ma senza scopo di lucro. La compresenza di questi aspetti può giustificare la presenza di specifiche clausole di salvaguardia.

Una parziale mitigazione è rinvenibile nell’articolo 1, comma 6 del suddetto decreto, il quale fa salva l’applicazione del Dlgs n. 175/2016 in materia di società a partecipazione pubblica che possono assumere la qualifica di impresa sociale (come confermato nella relazione illustrativa al Dlgs n. 112/2017). In questi termini, quindi, è ammessa anche una partecipazione di controllo di enti pubblici all’impresa sociale.

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