Contabilità

LE PAROLE DEL NON PROFIT/Enti religiosi alla scelta del «ramo» per i bonus

di Martina Manfredonia e Gabriele Sepio

Con la riforma del Terzo settore si apre per gli enti religiosi civilmente riconosciuti la possibilità di aprire un “ramo” dedicato al sociale con un patrimonio appositamente destinato e separato da quello generale dell’ente. Gli enti che svolgono una delle attività di interesse generale previste dai decreti di riforma potranno aprire un «ramo ente del Terzo settore» (Ets) o un «ramo impresa sociale» (Is) ad esse dedicato ed applicare limitatamente a tali attività le nuove disposizioni. In questo modo potranno accedere a tutti i vantaggi fiscali e non introdotti per il Terzo settore, ma dovranno anche attenersi agli obblighi imposti dalle nuove norme, recependole con apposito regolamento nella forma dell’atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Fin qui nulla di diverso rispetto a quanto già prevedeva il Dlgs 460/1997 per il «ramo Onlus» degli enti ecclesiastici, salvo il fatto che la riforma si riferisce a una platea di soggetti più ampia rispetto al passato (si parla di enti religiosi civilmente riconosciuti e non solo degli enti ecclesiastici che hanno stipulato accordi o intese con lo Stato).

Quello che cambia è la gestione contabile-finanziaria di queste attività. All’obbligo di tenere una contabilità separata per il ramo (contemplato anche per il «ramo Onlus»), si aggiunge infatti quello di costituire un patrimonio destinato alla specifica attività di interesse generale svolta, al fine di mantenere distinte sotto il profilo finanziario le entrate e uscite di quest’ultima da quelle derivanti dall’attività di culto propria dell’ente. Così facendo, dovrebbero crearsi due masse patrimoniali autonome e separate, a ciascuna delle quali sono destinati beni e risorse specifiche e fanno capo rapporti giuridici/obbligatori diversi, analogamente a quanto avviene con i patrimoni destinati delle società di capitali (articolo 2447-bis del Codice civile). Nello svolgimento dell’attività di interesse generale, quindi, l’ente “rischia” solo con una parte del proprio patrimonio: i creditori dell’ente non possono aggredire il patrimonio destinato e i creditori di quest’ultimo non possono rivalersi sul pa-trimonio dell’ente.

Limiti e modalità di costituzione del patrimonio dovrebbero essere i medesimi previsti per i patrimoni destinati del codice civile. Diversamente da quanto previsto per gli atri enti del Terzo settore (articolo 10 del Dlgs 117/2017), per gli enti religiosi non viene richiamato esplicitamente l’articolo 2447-bis del Codice civile. Tuttavia, lo stesso dovrebbe comunque trovare applicazione, se non altro con riferimento alla necessità di operare una segregazione del patrimonio destinato all’attività di interesse generale, visto che il «ramo Ets» e il «ramo Is» seguono la disciplina dei decreti di riforma, tra cui anche quella relativa alla costituzione di patrimoni destinati (l’articolo 10 appunto). Si potrebbe discutere tuttavia sul fatto che, trattandosi di una disposizione speciale, il mancato richiamo all’articolo 2447-bis del Codice civile non determini in questo caso l’applicazione automatica del limite ivi previsto, secondo cui il patrimonio segregato non può superare il 10 per cento di quello complessivo dell’ente.

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