Contabilità

LE PAROLE DEL NON PROFIT/Nella società benefit un bilanciamento di interessi

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di Martina Manfredonia e Gabriele Sepio


Conciliare attività di impresa e interessi della collettività. È questa un’esigenza di molte imprese italiane, spinte spesso dalla crescente tendenza dei consumatori a preferire realtà orientate al sociale. Due gli strumenti piu recenti messi a disposizione a tal fine dal legislatore: la società benefit (legge di Stabilità 2016) e la nuova impresa sociale (Dlgs 112/2017).

Entrambe le figure consentono di realizzare l’obiettivo, ma con differenze sostanziali sul piano pratico e sotto il profilo fiscale. La scelta della veste giuridica, quindi, è strettamente legata alle modalità con cui è svolta l’attività e al peso che si intende attribuire allo scopo solidaristico.

Concentrandoci solo sulle società, sia la qualifica di impresa sociale sia di società benefit possono essere assunte da tutte le società di persone, di capitali e cooperative (con la precisazione che le cooperative sociali con la riforma sono imprese sociali di diritto).
Il tratto distintivo è il fine perseguito. Nell’impresa sociale lo scopo principale è il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. La componente imprenditoriale entra in gioco solo in relazione alle modalità con cui è svolta l’attività di interesse generale. Gli utili prodotti devono essere reinvestiti nell’attività e possono essere distribuiti ai soci solo entro precisi limiti patrimoniali (una quota inferiore al 50% degli utili/avanzi di gestione annuali può essere distribuita in misura non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale versato). Si tratta di un ente non profit a tutti gli effetti, quindi, che si differenzia dagli altri enti del Terzo settore per la possibilità di utilizzare lo schema societario e di remunerare in minima parte il capitale sociale.

Discorso diverso per la società benefit. Lo scopo benefico si aggiunge alle altre attività che compongono l’oggetto sociale, senza però cambiare la natura essenzialmente lucrativa della società. Quest’ultima rimane nella sfera “profit”, e continua a poter distribuire utili che verranno tassati a prescindere dal perseguimento di finalità di interesse generale. Tuttavia nella società benefit gli amministratori dovranno bilanciare l’interesse della società con quello altruistico perseguito, rispettando precisi obblighi di trasparenza.

Questa profonda differenza si traduce sotto il profilo tributario: la riforma ha introdotto un apposito regime fiscale dell’impresa sociale, basato sulla detassazione degli utili o avanzi di gestione reinvestiti nelle finalità istituzionali e su incentivi fiscali per chi esegue investimenti di capitale. Nessuna agevolazione invece per le società benefit, per le quali il vantaggio si realizza sul piano reputazionale, consentendo di dare evidenza all’impegno sociale assunto dall’ente.

Per entrambi i modelli, l’atto costitutivo deve esplicitare il fine altruistico perseguito, ma solo l’impresa sociale è obbligata ad inserire nella denominazione la relativa indicazione (e a farne uso negli atti e nella corrispondenza), mentre la società benefit può (ma non deve) aggiungere alla denominazione le parole «società benefit» o l’acronimo «SB».
Ciascuna forma giuridica, poi, è soggetta a specifici obblighi di informazione e controlli. Sul primo fronte, l’impresa sociale deve redigere un bilancio sociale per la valutazione dell’impatto dell’attività svolta, mentre la società benefit deve allegare al bilancio di esercizio e pubblicare sul proprio sito internet una relazione sul perseguimento del beneficio comune e sulle prospettive future dell’attività, in conformità ad appositi standard di valutazione esterni. Quanto ai controlli, competente per le verifiche dell’impresa sociale è il ministero del Lavoro, mentre per la società benefit i controlli sono affidati all’Autorità garante della concorrenza e del mercato.

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