Le rimanenze non omogenee fanno scattare l’induttivo
È legittimo l’accertamento induttivo del reddito d’impresa nell’ipotesi in cui l’inventario tralasci di indicare e valorizzare le rimanenze mediante raggruppamento per categorie omogenee. A tale conclusione è giunta la Cassazione con l’ordinanza 16276/2019.
La Suprema corte è tornata sulla vicenda del trattamento fiscale delle giacenze di magazzino e, in particolare, sulla corretta indicazione nel libro inventari delle rimanenze iniziali e finali, operazione che riveste un ruolo chiave data la sua attendibilità, nell’ambito della contabilità aziendale e il cui detrimento potrebbe condurre a conseguenze tributarie significative nella sfera accertativa.
In base al comma 2 dell’articolo 15 del Dpr 600/1973, l’inventario deve rappresentare, tra l’altro, la consistenza dei beni organizzati in categorie omogenee per natura e valore e, nel caso in cui non evidenzi gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, dovranno essere tenute a disposizione dell’Amministrazione le distinte utilizzate per la sua stesura.
Nonostante la chiara indicazione della norma, accade talvolta che gli inventari rechino soltanto il valore complessivo delle rimanenze, senza alcuna distinzione e, soprattutto, senza un preventivo raggruppamento per categorie omogenee. In tali circostanze, pertanto, appurata la violazione della disciplina, l’Ufficio procede all’accertamento induttivo in base al comma 2 dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 e dell’articolo 55 del Dpr 633/1972, in forza della menzionata irregolarità in grado di rendere inattendibile la contabilità aziendale.
La Suprema corte ha stabilito (16477/2014) che è proprio l’incompletezza della documentazione contabile a rendere non attendibili le scritture e a legittimare l’accertamento induttivo in base all’articolo 39 comma 2 lettera d) del Dpr 600/1973 utilizzando, pertanto, anche presunzioni «supersemplici». Tale mancanza non può essere sanata (Cassazione 8273/2003) dal riferimento al bilancio corredato dalla relativa nota integrativa, in quanto inventario e bilancio costituiscono documenti differenziati, aventi contenuto e finalità dissimili, in base all’articolo 2217 del Codice civile e dell’articolo 15 del Dpr 600/1973.
Con l’ordinanza 16276/2019 di fatto, la Cassazione ha nuovamente confermato la sua posizione rimarcando che la violazione del comma 2 dell’articolo 15 del Dpr 600/1973 rappresenta una mera irregolarità contabile.
La Cassazione (sentenza 28061/2017) ha stabilito inoltre che il tenore testuale della norma non autorizza l’adozione di criteri di valutazione delle rimanenze che possano prescindere dal raggruppamento dei beni in categorie omogenee. La valutazione delle rimanenze rappresenta, pertanto, un passaggio obbligato e i gruppi omogenei così individuati costituiscono l’unità minimale di valutazione a cui applicare i criteri rappresentati nell’articolo 92 del Dpr 917/1986. La finalità della disposizione è quella di evitare indeterminatezze e difficoltà nei processi valutativi delle rimanenze, considerato che l’omogeneità dei gruppi generati rende istantanea la valorizzazione di quantità anche ragguardevoli di prodotti.