Controlli e liti

Le spese di lite vanno adeguate al valore della causa e all’impegno del difensore

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di Antonio Zappi

Spese di lite da adeguare al valore della causa. È quanto emerge dalla sentenza 4424/14/2018 della Ctr Campania ( clicca qui per consultarla ) che ha riformato in aumento l’importo delle spese di lite liquidate dai primi giudici della Ctp di Napoli, affermando come fosse «palese l’assoluta inadeguatezza delle spese liquidate dal primo giudice in riferimento al valore della causa e all’impegno profuso dal difensore del contribuente».

Il contribuente aveva riportato una piena vittoria in primo grado ed aveva ottenuto l’annullamento di un’intimazione di pagamento, ma a lasciar insoddisfatto il ricorrente era stato l’importo delle spese liquidate (400 euro, oltre accessori). A quel punto, egli proponeva appello chiedendo sia l’adeguamento al valore della causa di quanto liquidato, nonché la condanna dell’Agenzia anche al risarcimento ex articolo 96 del Codice di procedura civile, ravvisando evidentemente anche i presupposti per il riconoscimento di una responsabilità aggravata del Fisco per mala fede o colpa grave (articolo 15, comma 2-bis, del Dlgs 546/1992). Ritenuto, tuttavia, che a carico della parte soccombente non vi fossero i presupposti per un simile risarcimento, i giudici campani hanno, invece, riconosciuto la necessità di procedere a una «legittima» revisione della liquidazione delle spese del primo grado, poiché la valorizzazione del lavoro del difensore non era stata adeguatamente riconosciuta dalla Ctp Napoli che aveva accolto il suo ricorso con il quale, invocando la prescrizione dei crediti in assenza di qualsiasi precedente notifica, era stata impugnata un’intimazione di pagamento notificata dall’agente della riscossione per una somma di oltre 3 milioni e mezzo di euro.

Se, allora, la regola della soccombenza risponde alla logica che chi ha ragione non deve sopportare i costi della lite, ciò non può accadere neanche tramite insufficienti liquidazioni delle spese di causa. L’aspetto interessante di questo pronunciamento risiede, quindi, proprio nel fatto che oggetto dell’appello del contribuente non è stata, come spesso accade, una compensazione immotivata delle spese, ovvero con ragioni che non rispettino i requisiti di essere «gravi» ed «eccezionali».

I giudici d’appello, infatti, hanno valorizzato lo sforzo professionale del difensore al quale, in ragione della naturale complessità di una causa dall’elevato valore del contendere, avrebbero dovuto essere più adeguatamente remunerate le notevoli energie difensive profuse e che i giudici della Ctr hanno ritenuto non sufficientemente ristorate con i soli 400 euro liquidati dalla Ctp. In accoglimento dell’appello, il collegio giudicante ha elevato la condanna del Fisco alle spese del giudizio di primo grado ad euro 9.023 ed ha determinato le spese del giudizio di secondo grado nella misura di 3.050 euro, il tutto oltre il contributo unificato di 1.500 euro, il 15% di spese generali e Iva e Cpa (ossia il contributo alla cassa previdenza avvocati) come per legge, con attribuzione delle stesse al difensore «antistatario»: tale è il professionista che dichiara di aver assistito il proprio cliente senza aver riscosso onorari anticipando le spese del giudizio e che, in tal modo, può chiedere che il giudice condanni la controparte a pagare le spese legali direttamente a suo favore (articolo 93 del Codice di procedura civile).

Ctr Campania, sentenza 4424/14/2018

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