Lease-back, plusvalenza «lunga»
La plusvalenza derivante dalla vendita nel contesto di un’operazione di sale and lease-back immobiliare concorre alla formazione del reddito d’impresa dell’alienante in base alla durata del contratto di leasing sottoscritto. Queste operazioni, infatti, non sono scomponibili: il fine del negozio giuridico – spesso usato come strumento di finanziamento – è sia il trasferimento della proprietà dell’immobile sia la sua riacquisizione in leasing per conservarne il godimento. Pertanto, in assenza di una specifica disciplina fiscale relativa al sale and lease-back occorre applicare la disciplina civilistico-contabile di cui al quarto comma dell’articolo 2425-bis del Codice civile. Lo afferma la Ctr Sardegna 184/1/2017 (presidente Leone, relatore Carta).
Una società di costruzioni nel 2009 vende e poi riprende in leasing alcuni immobili di sua proprietà. Determinando il reddito d’impresa, imputa quale componente positivo un quinto della plusvalenza, in linea con il dettato dell’articolo 86 del Tuir. A partire dall’esercizio 2010, però, la società rivede il criterio di imputazione, e spalma i restanti 4/5 della plusvalenza lungo la durata del leasing (20 anni).
L’amministrazione contesta la “neutralità fiscale” dell’operazione e pretende che la società prosegua con il criterio di imputazione inizialmente avviato.
La società ricorrente in Ctp sottolinea che il sale and lease-back consiste in un’unica operazione non scomponibile virtualmente e, quindi, la plusvalenza realizzata dalla vendita dell’immobile va ripartita per la durata del contratto, anziché essere imputata nell’esercizio di cessione dell’immobile.
L’amministrazione, però, contesta la ricostruzione della società ed afferma che il sale and lease-back è una figura negoziale fiscale complessa, costituita da due rapporti distinti, seppure tra loro collegati (la compravendita e il contestuale leasing finanziario). Questa distinzione “virtuale”, secondo l’Agenzia, comporta l’intera tassazione della plusvalenza nel periodo d’imposta in cui è stata realizzata.
La società contribuente soccombe in primo grado, ma vince in appello per i seguenti motivi.
Unicità dell’operazione. Il sale and lease-back non è un’operazione scindibile in due rapporti distinti, né dal punto di vista civilistico né dal punto di vista fiscale, perché il fine economico e giuridico del negozio non è il semplice trasferimento della proprietà del bene, ma anche il riacquisto dell’immobile in locazione per conservarne disponibilità e godimento. È un punto statuito anche dalla Cassazione (sentenza 35294/2016).
La dilazione della plusvalenza. L’assenza di una specifica disciplina fiscale relativa al sale and lease-back rende necessaria la ricerca di un criterio di certezza applicabile e la soluzione rimanda alla disciplina civilistico-contabile di cui all’articolo 2425-bis, comma 4 del Codice civile, secondo cui «le plusvalenze derivanti da operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore sono ripartite in funzione della durata del contratto di locazione».
Pertanto, il sale and lease-back, in ragione della sua natura di unica operazione e in mancanza di una disciplina fiscale, va trattato in base ai criteri previsti dalla normativa contabile. In conclusione – secondo la Ctr - la plusvalenza realizzata nell’ambito dell’operazione va imputata alla formazione del reddito d’impresa in ragione della durata della locazione finanziaria.
Tributi locali, sanatorie con incognita se il credito è già in contenzioso
class="conParagrafo_R21">di Pasquale Mirto
Servizi digitali, la tassazione al centro della contesa Usa-Ue
class="a-cura-di_R21">di Benedetto Santacroce
Esordio della cedolare al 26% per le case in locazione breve
class="conParagrafo_R21">di Lorenzo Pegorin