Limite applicabile ai beni immateriali
Il principio affermato dalla Suprema corte sui termini di decadenza per le contestazioni dei costi pluriennali offre lo spunto per alcune riflessioni sulla sua concreta applicabilità.
Sicuramente dovrebbero rientrare oltre ai beni ammortizzabili, materiali, anche quelli immateriali. In quest’ultima categoria, tra le contestazioni più frequenti, si riscontrano le quote di avviamento relative ad aziende acquistate in passato. Non di rado, infatti, gli uffici, contestano il valore iscritto a bilancio, a prescindere se riguardi, o meno, un esercizio già decaduto, e recuperano la quota di ammortamento imputata nel primo periodo di imposta accertabile. Si pensi ad esempio a un’azienda il cui avviamento pagato sia ritenuto dai verificatori antieconomico rispetto alle potenzialità e ai redditi prodotti negli anni seguenti. Non di rado, in simili ipotesi, in sede di controllo è dapprima rideterminato il valore dell’avviamento e in secondo luogo, calcolata la quota di ammortamento ritenuta deducibile.
Secondo quanto affermato dalla Suprema corte un simile rilievo è illegittimo, poiché in assenza di una contestazione entro i termini di decadenza riferiti all’esercizio in cui è stato iscritto l’avviamento, non è consentita la rettifica delle quote di ammortamento degli anni successivi.
Un’altra ipotesi in cui potrebbe applicarsi il principio, riguarda la contestazione di sopravvenienze attive derivanti da costi/passività rilevati in passato e contestati dai verificatori quali poste indeducibili.
È il caso in cui in un determinato esercizio, già decaduto, l’impresa ha dedotto una o più fatture, ma il debito verso il fornitore non è stato saldato, rimanendo aperto fino in anni accertabili. Di norma, in sede di controllo, i verificatori se ritengono i costi, originariamente dedotti, indeducibili per le più diverse ragioni (fatture per operazioni inesistenti, antieconomici, eccetera), il relativo debito viene tassato come una sopravvenienza attiva, nel presupposto che la presenza in bilancio della passività, consenta la rettifica. In altre parole, se in un esercizio ancora accertabile è presente una voce (il debito verso fornitore) derivante da una registrazione ritenuta illegittima (costi dedotti), secondo l’amministrazione si può procedere alla tassazione nel primo periodo di imposta accertabile.
Tuttavia, applicando il principio ora affermato dalla Cassazione, è verosimile sostenere che il costo poteva essere recuperato solo entro gli ordinari termini di decadenza dell’esercizio di registrazione dello stesso, a nulla rilevando la permanenza del debito.
Analogamente, il principio potrebbe applicarsi anche a taluni elementi positivi di reddito ricavi come nel caso delle sopravvenienze attive ripartite in cinque esercizi. L’ufficio potrebbe contestare il valore solo se l’originaria iscrizione sia avvenuta in un’annualità i cui termini di accertamento non sono ancora decorsi. In caso contrario, infatti, anche ove i verificatori contestassero un’omessa rilevazione di ricavi, non potrebbero rettificare le imputazioni degli esercizi successivi.