Controlli e liti

Liti pendenti, definizione con il 5% se l’Agenzia ha vinto solo parzialmente in appello

L’ordinanza 10309 della Cassazione: le Entrate risultano comunque soccombenti in tutti i precedenti gradi del giudizio di merito

di Francesco Paolo Fabbri

Definizione della lite pendente in Cassazione con versamento del 5% delle somme in contestazione, in caso di soccombenza dell’agenzia delle Entrate nei precedenti gradi di giudizio. Così si sono espressi i giudici della Suprema corte con l’ordinanza 10309 del 20 aprile 2021, in una fattispecie nella quale l’amministrazione finanziaria, soccombente nel giudizio di primo grado, aveva visto accogliere il proprio ricorso in Ctr limitatamente ad alcuni rilievi contenuti nell’atto di accertamento, vedendo invece confermata nel resto la sentenza di primo grado. Motivo per cui le Entrate non ritenevano di essere risultate soccombenti in secondo grado.

Nel caso in esame, l’Agenzia aveva notificato alcuni avvisi di accertamenti a una società, fra i quali uno contenente una ripresa ai fini Ires. Dopo l’instaurazione del relativo giudizio, con vittoria in primo grado per la società, l’Agenzia vedeva accolto il proprio appello solo in riferimento a due dei rilievi di tale atto impositivo.

In seguito, la società accertata presentava il proprio ricorso in Cassazione, nonché, successivamente, la domanda di definizione della lite pendente ex articolo 6 del Dl 119/2018. Domanda di definizione per la quale veniva versato l’importo corrispondente al 5% del valore della controversia, vedendo però la società il rigetto da parte dell’autorità fiscale, che riteneva il versamento carente.

Nello specifico, l’agenzia delle Entrate sosteneva che il corretto importo da versare per la definizione risultasse pari al 100% del valore della lite, stante la soccombenza della parte privata in appello. Diversamente, la società argomentava che la sentenza di Ctr, che pure aveva accolto l’appello dell’Agenzia con riferimento a due rilievi contenuti nell’atto di accertamento, risultasse in ogni caso sfavorevole all’amministrazione finanziaria. Questo, in particolare, in considerazione del fatto che i giudici di secondo cure avevano «confermato nel resto la decisione di primo grado».

Sulla questione dell’ammissibilità della domanda di definizione della lite, stante l’importo versato per la definizione, la Corte di cassazione evidenziava innanzitutto che, con il proprio ricorso in appello, l’Agenzia lamentava la sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato la nullità dell’atto di accertamento ai fini Ires. Nondimeno, i giudici regionali, dopo essersi soffermati ad esaminare i singoli rilievi contenuti dell’atto impositivo, accoglievano l’appello dell’ufficio solamente con riguardo a due di essi. Confermando invece, per il resto, la decisione di primo grado.

La Suprema corte rilevava poi che la tesi erariale si scontrava con alcune decisioni, divenute definitive, prese nell’ambito di un parallelo procedimento, avente ad oggetto l’impugnazione della cartella di pagamento emessa a seguito di iscrizione a ruolo del 100% di quanto dovuto sulla base dell’avviso di accertamento Ires in esame. Procedimento che aveva visto la parte pubblica soccombente, sia in primo che in secondo grado. E infatti, i giudici di merito di tale giudizio “parallelo” avevano ritenuto che la sentenza di Ctr in discussione non poteva che aver confermato la precedente sentenza di primo grado, favorevole alla società accertata.

Da ultimo, l’infondatezza della tesi dell’Agenzia trovava ulteriore conferma, a parere dei giudici di legittimità, nel contenuto del ricorso incidentale che la stessa Agenzia aveva presentato in Cassazione. Ricorso con il quale la sentenza di secondo grado era stata impugnata sul presupposto che i giudici non avessero esaminato il motivo di gravame proposto dall’amministrazione finanziaria, con il quale essa lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado.

In definitiva, la Suprema corte ha ritenuto che il giudizio per il quale era stata richiesta la definizione, che risultava pendente in Cassazione, avesse visto l’agenzia delle Entrate soccombente in tutti i precedenti gradi del giudizio di merito. Cosicché la domanda di definizione della relativa controversia dovesse intendersi correttamente perfezionata con il versamento del 5% del valore della lite (articolo 6, comma 2-ter, del Dl 119/2018). Importo, quest’ultimo, che risultava conforme rispetto a quanto adempiuto dalla società ricorrente che aveva presentato la domanda di definizione della controversia, con conseguente annullamento del diniego alla definizione opposto dalle Entrate.

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