Controlli e liti

Ma il volume degli obblighi non è garanzia di risultato

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di Raffaele Rizzardi

La Commissione europea fa eseguire una stima annuale del Vat gap, cioè di quanta Iva manca all’appello delle casse pubbliche. L’ultimo documento, del settembre 2016, mette a confronto le stime del 2014 con l’anno precedente. Il gettito scomparso in tutta la Ue sarebbe di 159 miliardi di euro, di cui quasi 37 attribuiti all’Italia. È il dato numericamente più elevato, mentre in percentuale abbiamo cinque Stati davanti a noi in questo poco invidiabile record. Merita, peraltro, di essere segnalato che nel gruppo con la maggior evasione percentuale, sette Stati su otto presentano una percentuale del 2014 inferiore a quella del 2013. Questi dati pongono in evidenza che qualcosa si sta facendo per contrastare l’evasione Iva. Per l’Italia sono incoraggianti i dati diffusi ieri dalla Guardia di Finanza, in occasione del 243° anniversario della fondazione del corpo.

Leggiamo dal comunicato stampa che nel campo dell’economia sommersa, i finanzieri hanno scoperto oltre 3.700 soggetti del tutto sconosciuti al Fisco, i cosiddetti “evasori totali” (+ 13% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), che hanno evaso, nel complesso, 3,5 miliardi di Iva (+300% rispetto ai primi cinque mesi del 2016). Questo sensibile incremento è anche da ricondurre al Piano denominato «Omesse comunicazioni Iva» che il Corpo sta svolgendo, su tutto il territorio nazionale, nei confronti di quegli operatori che, invitati a regolarizzare (in un’ottica di “compliance”) la propria posizione fiscale, non hanno risposto o non si sono ravveduti.

Risulta evidente che la gestione dell’amministrazione finanziaria, sempre più informatizzata, può mettere a disposizione elementi di innesco delle indagini sul campo, anche se non dobbiamo mai dimenticare di eseguire un rapporto tra costi e benefici ogni qualvolta si decida di introdurre un nuovo adempimento.

Tra le misure ormai imminenti abbiamo l’estensione dello split payment: se da un lato si pone come obiettivo quello di ridurre l’evasione da versamento dell’Iva da parte di chi fornisce i destinatari delle nuove fatture, dall’altro aumenta in modo esponenziale il numero dei soggetti da controllare, con il rischio di una minor efficacia dell’azione amministrativa. Chi emette queste fatture chiude a credito, che per l’impegno fondamentale con la Commissione Ue deve essere rimborsato in tempi molto più brevi che in passato. A questi controlli si aggiungono quelli nei confronti di chi riceve queste fatture, per verificare che provveda correttamente – sia nei tempi che negli importi – al versamento del tributo. L’estensione dello split, con la relativa proroga, è stata già benedetta da Bruxelles, ed è interessante leggere le motivazioni ufficiali, che riprendono quelle del primo provvedimento. Si dice infatti che lo split si applicava all’inizio verso soggetti tutti destinatari di fatture elettroniche canalizzate nel sistema di interscambio gestito dall’amministrazione finanziaria. Cioè nel sistema che il nostro Paese, verosimilmente prima che in altri Stati, imporrà nei rapporti B2B, per tenere sotto controllo chi compra e chi vende, con la verifica in tempo reale dei versamenti.

La comunicazione dei dati di tutte le fatture è palesemente l’anticipazione dell’obbligo di fattura elettronica, ma, a parte la necessità di un’autorizzazione europea per introdurre questo adempimento, è indubbio che le fatture di piccolo importo non potranno essere di tipo elettronico. Oltre a tutto già adesso esiste (articolo 21-bis legge Iva) la fattura semplificata sino a 100 euro, elevabili a 400 o per qualsiasi importo in settori da individuare con decreto ministeriale in relazione all’onerosità di una fattura normale. Per evitare inutili perdite di tempo e di risultati altrettanto inutili (mai viste frodi carosello con la fatturina da 10 euro del pranzo di lavoro) è bene che questo provvedimento sia adottato immediatamente, con effetto di deroga alle trasmissioni telematiche.

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