Contabilità

Marchi, rivalutazione senza storno contabile

Pur rinunciando agli effetti fiscali resta in bilancio il maggior valore attribuito ai marchi

di Andrea Vasapolli

Il disegno di legge di Bilancio 2022 ora all’esame in prima lettura del Senato modifica radicalmente il regime fiscale della rivalutazione dei beni delle imprese disciplinato dall’articolo 110 del Dl 104 del 2020 con riferimento alle attività immateriali, le cui aliquote di ammortamento sono deducibili in misura non superiore a un diciottesimo del costo ai sensi dell’articolo 103 del Dpr 917/1986. Tale modifica normativa rileva in particolar modo per chi ha effettuato la rivalutazione di marchi dell’impresa.

Le strade possibili

La nuova disposizione, in estrema sintesi, prevede le seguenti alternative. Non fare nulla, in tal caso gli ammortamenti dei maggiori valori imputati ai marchi rivalutati diventano fiscalmente deducibili su di un arco temporale non più di diciotto anni bensì di cinquanta. Ovvero, se si desidera mantenere la deducibilità dell’ammortamento su di un arco temporale di diciotto anni, è data la facoltà di versare un’imposta sostitutiva dell’Ires e dell’Irap nella misura corrispondente a quella indicata dall’articolo 176, comma 2-ter, del Dpr 917/1986, al netto dell’imposta sostitutiva del 3% già versata. In altre parole si tratta di versare un’imposta sostitutiva aggiuntiva che va dal 9% al 13%, in due rate di pari importo.

La scelta se effettuare o meno la rivalutazione a pagamento dei beni è una scelta sostanzialmente di tipo finanziario, in quanto comporta la comparazione tra i flussi finanziari in uscita per l’imposta sostitutiva dovuta e i futuri risparmi di imposta attualizzati, complessivamente pari al valore attuale delle minori imposte che saranno dovute per effetto della deducibilità dei maggiori ammortamenti. Tale scelta è stata effettuata dalle imprese sulla base di quanto prevedeva la legge che disciplinava la rivalutazione in commento, comparando quindi l’imposta sostitutiva dovuta del 3 per cento con il risparmio di imposte che ne sarebbe conseguito su di un arco temporale di 18 anni.

Gli effetti finanziari

Le due soluzioni sopra descritte conseguenti alla proposta modifica normativa sono entrambe non soddisfacenti dal punto di vista del rendimento finanziario implicito delle stesse. Entrambe, infatti, comportano per le imprese un rendimento finanziario complessivo modestamente positivo che si consegue tuttavia solo su di un arco temporale (irragionevolmente di 50 anni la prima, di 18 la seconda) in ogni caso molto lungo, ordinariamente al di fuori del periodo di prevedibilità esplicita (che nella maggior parte dei casi non supera i cinque anni).

Entrambe tali ipotesi, inoltre, comportano un pay back sempre negativo nel primo quinquennio, in quanto in tale periodo gli esborsi finanziari eccedono il risparmio di imposte cumulativo attualizzato. Deve anche rammentarsi che la riserva di rivalutazione resta in ogni caso in sospensione d’imposta, con gli ulteriori effetti fiscali negativi in caso di sua distribuzione.

La rinuncia agli effetti fiscali e civilistici

In alternativa l’articolo 191 del disegno di legge prevede la possibilità di rinunciare, anche parzialmente, agli effetti fiscali della rivalutazione e di chiedere a rimborso l’imposta sostituiva versata, ovvero il diritto di utilizzarla a compensazione in base all’articolo 17 del Dlgs 241/1997.

Vengono però completamente ignorati gli effetti civilistici della scelta effettuata di rivalutare i marchi, che se da un lato ha prodotto il positivo effetto dell’iscrizione in bilancio di una riserva, dall’altro comporta per tutta la durata dell’ammortamento civilistico una significativa riduzione del risultato d’esercizio a causa del maggiore ammortamento dei marchi medesimi. La bozza della norma, tuttavia, non prevede lo storno degli effetti contabili della rivalutazione, per cui pur rinunciando ai suoi effetti fiscali permane iscritto in bilancio il maggior valore attribuito ai marchi.

Inoltre, scegliere di rinunciare agli effetti fiscali della rivalutazione al fine di sottrarsi a questa forma di prelievo forzoso che ha assunto la norma in commento, comporta la necessità di iscrivere in bilancio le imposte differite, in quanto si viene a disallineare il valore civilistico e quello fiscale dei marchi, il che comporta una riduzione della riserva di rivalutazione originariamente iscritta in bilancio.

I principi contabili

Il problema che si pone, dunque, è se i vigenti principi contabili e disposizioni codicistiche consentono, nel caso si decida di rinunciare agli effetti fiscali della rivalutazione dei marchi, di stornare anche gli effetti contabili della stessa. Rammentiamo che le imprese che hanno rivalutato i marchi nel bilancio 2020 hanno cambiato il criterio di valutazione adottato in bilancio per tali elementi patrimoniali, in quanto sono passate dal criterio del costo storico al criterio del costo rivalutato, con emersione delle plusvalenze latenti.

Se si fosse nell’ambito dei rapporti con la Pubblica amministrazione, crediamo che pochi dubiterebbero che ci si troverebbe in un palese caso di violazione del principio di legittimo affidamento, il quale trova origine nella clausola generale di buona fede. Tale principio implica l’interesse alla tutela di chi confida in una certa situazione che si è definita nella realtà giuridica e può trovare applicazione a fronte dell’azione scorretta posta in essere dalla Pubblica amministrazione. Tale principio, tuttavia, non trova applicazione nel caso, come quello in esame, di una modifica legislativa.

Riteniamo, tuttavia, che un simile repentino e drastico mutamento della norma disciplinante la fattispecie, in un così breve arco temporale, prima ancora che si siano dispiegati i primi effetti fiscali della originaria norma, mutamento che comporta conseguenze assolutamente non prevedibili e rilevantemente negative e che, se conosciuto sin dall’inizio, avrebbe portato a ben diverse scelte, possa essere qualificato quale un comportamento del legislatore che ha indotto in errore le imprese che hanno optato per la rivalutazione, anche fiscale, dei marchi, e in particolare che si tratti di un mutamento tale da stravolgere le informazioni ed i dati che erano disponibili al momento in cui la decisione di rivalutare i marchi fu assunta.

Nella stragrande maggioranza dei casi tali imprese, infatti, se avessero saputo sin dall’origine che le conseguenze fiscali di tale rivalutazione sarebbero state quelle ora definite dall’articolo 191 del disegno di legge di Bilancio 2022, non avrebbero effettuato la rivalutazione dei marchi e quindi non avrebbero modificato il criterio di loro iscrizione in bilancio.

Il principio Oic 29

Il principio contabile Oic 29 (paragrafi 12-20) nel disciplinare il cambiamento di principi contabili, che è permesso per una migliore rappresentazione in bilancio dei fatti e delle operazioni della società, richiama il disposto dell’articolo 2423-bis, comma 2, del Codice civile, il quale prevede che deroghe al principio di immodificabilità dei criteri di valutazione, previsto dal comma 1, n. 6, del medesimo articolo, sono possibili in casi eccezionali, senza tuttavia definire quali siano i casi eccezionali in cui tale deroga è ammessa.

Al paragrafo 45 è previsto che gli errori non devono essere confusi con i cambiamenti di principi contabili, fornendo il seguente esempio dal quale si desume che non è un errore «l’adozione di criteri contabili fatta in base ad informazioni e dati disponibili in quel momento ma che successivamente si dimostrano diversi da quelli assunti a base della scelta operata».

Riteniamo che la fattispecie in esame, nel caso in cui si decida di rinunciare agli effetti fiscali della rivalutazione dei marchi, possa essere considerata un caso in cui l’impresa aveva adottato un nuovo criterio contabile (quello del costo rivalutato) sulla base di informazioni (il contesto normativo di riferimento) rivelatesi poi diverse da quelle assunte a base della scelta operata. Si ritiene quindi che lo storno degli effetti che sono conseguiti all’adozione, su presupposti erronei, di tale nuovo criterio contabile rappresenti un caso di legittima modifica dei principi contabili precedentemente adottati.

Il cambiamento dei criteri

Conseguentemente, nel caso in cui si scelga di rinunciare agli effetti fiscali della rivalutazione, riteniamo che possa essere invocata la disciplina prevista dal Principio contabile Oic 29 per il cambiamento di un criterio contabile adottato. Tale disciplina prevede che gli effetti dei cambiamenti di principi contabili (in questo caso il ripristino del precedente criterio contabile del costo storico mediante lo storno della rivalutazione effettuata) sono determinati retroattivamente. Analoghe regole sono previste dallo Ias 8 per le società che applicano i principi contabili internazionali.

Nel caso di specie ciò comporta che nell’esercizio 2021 (per i solari) possono essere stornati i maggiori valori imputati ai marchi in sede di rivalutazione con contropartita una riduzione del saldo di apertura del patrimonio netto contabile, da imputare alla stessa riserva di rivalutazione se ancora iscritta in bilancio, rilevando contestualmente un credito verso l’erario per l’imposta sostitutiva già pagata ed un minor debito verso lo stesso per l’imposta ancora dovuta in caso di rateizzazione del pagamento. A fini comparativi, inoltre, devono essere rettificati anche i saldi dell’esercizio precedente in cui era stata posta in essere la rivalutazione.

Allo stato, sulla base della bozza di legge, quella della modifica del principio contabile adottato appare essere l’unica strada ipotizzabile per ripristinare la situazione ex ante non solo fiscalmente ma anche contabilmente, evitando così che i risultati dei futuri esercizi sociali siano significativamente influenzati dagli ammortamenti dei marchi divenuti fiscalmente non deducibili che conseguirebbero ad una rivalutazione solo civilistica che le imprese, se non fossero state indotte in errore dal legislatore, non avrebbero effettuato.

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