Controlli e liti

Marchi venduti, i corrispettivi non sono redditi di lavoro autonomo

Ctr Lombardia: cessione al di fuori dell’esercizio d’impresa non equiparabile a quella delle opere dell’ingegno

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di Dario Aquaro

I marchi (come le ditte o le insegne) sono segni distintivi che godono di una propria tutela in quanto hanno la funzione di identificare prodotti o servizi di un’impresa. Sono quindi diversi dalle opere dell’ingegno, disciplinate dal Libro V del Codice civile. Perciò il corrispettivo della vendita di un marchio (al di fuori dell’esercizio di impresa) non può essere inquadrato tra i redditi di lavoro autonomo, come avviene – appunto – per «i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno» (articolo 53, comma 2, lettera b, del Tuir).

Lo afferma una sentenza della Ctr Lombardia (2123 del 7 giugno 2021), che così ribalta l’interpretazione dell’ufficio delle Entrate e il successivo giudizio della Ctp di Como.
Il Fisco, infatti, aveva notificato a un contribuente un avviso di accertamento per riprendere a tassazione, quale reddito di lavoro autonomo, l’importo percepito per la cessione di un marchio, al netto della deduzione forfettaria del 25 per cento. E la Commissione tributaria provinciale aveva poi rigettato il ricorso, sostenendo che «risulta provato che il marchio oggetto di cessione costituisce opera dell’ingegno ed è stato oggetto di un brevetto, con la conseguenza che la cessione del marchio va ricondotta nell’ambito di operatività dell’art. 53, comma 2, lett. b)».

La Ctr, investita del caso, ha in primis spiegato che – in base all’articolo 2469 del Codice civile –«chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato». Dunque «il titolare del marchio può trasferire liberamente la titolarità del segno (indipendentemente dal trasferimento dell’azienda o di un suo ramo)». E il fatto che l’Agenzia non contesti che la cessione del marchio (al di fuori dell’esercizio di impresa) «sia qualificabile come alienazione di un bene facente parte del proprio patrimonio personale esclude, altresì, che lo stesso possa essere ascritto alla categoria del reddito d’impresa». Né può essere invocata la categoria dei redditi diversi generati da plusvalenze (articolo 67 del Tuir).

In definitiva, equiparare il marchio alle opere di ingegno è il frutto di un’interpretazione analogica («non semplicemente estensiva del dato letterale contenuto nell’art. 53, lett. b, Tuir») che, in quanto tale, non è consentita nel diritto tributario «quando l’operazione ermeneutica investe, come nel caso di specie, il presupposto dell’imposta». Per questo motivo la Ctr ha dato ragione al contribuente e annullato l’atto impugnato.

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