Contabilità

Market abuse, Italia bocciata sul «ne bis in idem»

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di Giovanni Negri

La Corte di giustizia europea, nel segno del ne bis in idem, piccona il doppio binario penale-amministrativo di repressione delle condotte di market abuse. Con la sentenza depositata ieri nella causa C-537/16 si afferma, in materia di manipolazione del mercato, che la normativa italiana che consente di avviare un procedimento amministrativo su iniziativa della Consob, dopo la conclusione con condanna di uno penale, «eccede» l’obiettivo di tutela dell’integrità dei mercati e della fiducia del pubblico negli strumenti finanziari. Un giudizio che si salda a quanto già stabilito nel 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Grande Stevens, dove la conclusione fu la medesima.

Se tre anni fa la vicenda che dette origine al verdetto europea era quella relativa alla comunicazione Fiat-Ifil sull’equity swap che permise di conservare il controllo di Fiat nelle mani della famiglia Agnelli, ora a essere coinvolto è Stefano Ricucci, per le operazioni condotte a sostegno delle quotazioni dei titoli Rcs, colpito con una misura Consob di 5 milioni di euro, mentre il parallelo procedimento penale si era chiuso con una condanna dopo patteggiamento a tre anni di carcere, poi oggetto di indulto.

Alla Corte europea è finita così una questione che da alcuni anni agita il dibattito sulle misure di contrasto alla criminalità economica (sia sul versante societario sia su quello tributario), quella della legittimità della coesistenza di una doppia sanzione, all’esito di due procedimenti, penale e amministrativa per gli stessi fatti. Di qui la contestazione della violazione del principio del ne bis in idem.

Sul punto la sentenza di ieri è destinata a rappresentare un punto di riferimento per una serie di affermazioni. La prima riguarda la natura della sanzione amministrativa inflitta da Consob e poi confermata, sia pure ridotta, dalla Corte d’appello di Roma. Determinante, ai fini del ragionamento, è stata la conclusione sulla natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa inflitta da Consob. La sentenza sottolinea che sono tre gli elementi da tenere presenti nella valutazione: qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, natura dell’illecito, severità della sanzione.

Pertanto, se è vero che il diritto italiano qualifica come amministrativo il procedimento avviato da Consob, ciò non è decisivo alla luce della necessità di considerare anche gli altri due criteri. Così, i giudici europei osservano che l’articolo 187 ter del Tuf (sulla manipolazione del mercato, ma il ragionamento sarebbe stato analogo sulla condotta di abuso di informazioni privilegiate, visto che il meccanismo sanzionatorio è identico) prevede che chiunque ha commesso manipolazioni del mercato è punito con una sanzione amministrativa pecuniaria da 20mila a 5e milioni di euro, sanzione che può essere aumentata fino al triplo o fino al maggiore importo di 10 volte il prodotto o il profitto conseguito dall’illecito.

Inoltre, il Governo italiano ha precisato, nelle sue osservazioni presentate alla Corte, che è sempre prevista in caso di condanna la confisca del prodotto o del profitto ottenuto grazie all’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. «Risulta quindi che tale sanzione non ha soltanto lo scopo di risarcire il danno causato dall’illecito, ma persegue anche una finalità repressiva – il che del resto corrisponde alla valutazione del giudice del rinvio – e presenta, pertanto, natura penale».

Si osserva poi che «una sanzione amministrativa pecuniaria che può raggiungere l’importo di dieci volte il prodotto o il profitto conseguito con le manipolazioni di mercato presenta un grado di gravità elevato, tale da corroborare la tesi secondo cui tale sanzione riveste natura penale».

Ora, è vero, ammette la sentenza, che esiste un obbligo di cooperazione tra pubblico ministero e Consob, ma la celebrazione di un procedimento su una (possibile) sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale va considerata eccessiva quando la condanna penale antecedente è di gravità tale da reprimere in maniera adeguata la condanna.

E ieri la Corte Ue, con la sentenza nelle cause riunite C-596/16 e C-597/16, ha affermato, e questo appariva meno controverso, che in caso di giudizio penale che ha accertato l’inesistenza delle condotte di market abuse deve essere considerato lesivo del principio del ne bis in idem l’inizio di un successivo procedimento amministrativo.

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