Controlli e liti

Mutui esteri, ecco il quadro del contenzioso tributario

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di Renzo Parisotto

Le sentenza delle Commissioni tributarie provinciali di Sondrio, Lucca e Bergamo sono le ultime note che affrontano il rilevante contenzioso instauratosi tra banche erogatrici di finanziamenti sulla base dei principi contenuti nella risoluzione n. 20/E del 28 marzo 2013.
Si deve ricordare preliminarmente che gli articoli 15 e seguenti del Dpr 601/1973 nella versione in vigore al 24 dicembre 2013 prevedeva che le banche erogatrici di finanziamenti oltre il breve termine siano tenute al versamento di un'imposta sostitutiva nella misura dello 0,25% dell'importo erogato. La stessa norma prevede che per quanto non espressamente disciplinato valgono le disposizioni in materia di imposta di registro.
Va altresì notato che tale imposta va sotto il titolo "Agevolazioni per il settore del credito" e ciò per il motivo che di norma i finanziamenti di questa specie sono assistiti da garanzie reali a favore dell'erogante che, in mancanza dell'agevolazione in parola, sconterebbero le ordinarie aliquote di registro in misura proporzionale. Accade di frequente viceversa che tali finanziamenti resi ad imprese di particolare rilievo siano privi di specifiche garanzie e pertanto vengono a mancare dei tributi "sostituiti" di modo che l'imposta sostitutiva diviene un tributo dovuto per il solo fatto che è stato erogato un credito, non anche per ridurre delle imposte che per l'appunto non sono dovute mancando garanzie.
Posto che l'imposta di registro su cui si "appoggia" il Dpr 601/73 è strettamente legata ad un criterio di territorialità a sua volta collegato al luogo di stipula dell'atto, anche sulla scorta di precedenti orientamenti ministeriali – R.M. 10/04/2000 n. 45/E – banche e clienti destinatari dei finanziamenti specificamente privi di garanzie reali hanno ritenuto ammissibile la redazione/sottoscrizione degli atti di finanziamento all'estero senza quindi il versamento dell'imposta sostitutiva. Resta ferma la debenza dell'imposta piena laddove in fase successiva detti contratti siano fatti valere in Italia.
Con la Risoluzione n. 20/E/2013 l'agenzia delle Entrate ha ritenuto censurabile simile atteggiamento pur riconoscendo inesistente l'ipotesi di "abuso del diritto". Secondo l'Agenzia dal momento che tutte le fasi preparatorie della stipula dell'atto all'estero si sarebbero sviluppate in Italia, per di più il finanziamento è utilizzato in Italia, così come in caso di controversia è competente un foro italiano, si è in presenza di un finanziamento comunque assoggettabile all' imposta sostitutiva ex Dpr 601/1973 essendo la stipula all'estero una mera riproposizione di atti sostanzialmente già formati in Italia.
Sulla scorta di tali indicazione più istituti di credito sono stati raggiunti da avvisi di liquidazione, talora estesi anche ai soggetti finanziati, secondo un criterio di solidarietà tributaria ancor più rilevante laddove un finanziamento fosse erogato in pool da un numero più o meno esteso di banche. In tal caso gli avvisi di liquidazione hanno, di norma, preso a riferimento la documentazione reperita presso una della banche partecipanti , successivamente eccependo la medesima violazione alle altre banche del pool dando cioè per assunto che le procedure di erogazione siano in tutto simili.
Per completezza di argomenti si ricorda che normalmente i contratti di finanziamento di questa tipologia prevedono una clausola di "ribaltamento economico" sul finanziato degli oneri fiscali.
Dal quadro sopra delineato tenuto anche conto delle puntuali osservazioni fornite da Assonime con la sua circolare n. 13/2013 tesa a confermare la centralità del contratto effettivamente stipulato e non anche dei necessari documenti preliminari, si è sviluppato un esteso contenzioso presso le Commissioni tributarie insediate in corrispondenza delle sedi legali delle diverse banche erogatrici con la precisazione che in presenza di finanziamenti in pool, supponiamo da parte di banche insediate in diverse provincie, saranno diversi fascicoli tra loro naturalmente scollegati.
Tra i motivi a supporto del contenzioso avviato dalle banche meritano evidenza: l' illegittimità dell'avviso di liquidazione per difetto di motivazione dal momento che vengono, di norma prese a riferimento le risultanze di accertamenti effettuati presso altro soggetto (vedi altra banca erogante); l'illegittimità della pretesa in quanto non dimostrata né fondata dal momento che la stipula dell'atto per iscritto, avvenuta all'estero, è prevista "ad substantiam" pena la nullità fissata dall'articolo 117 del Dlgs 385/93 (non sono perciò da considerarsi contratti le cd. minute); la violazione del principio del legittimo affidamento e per conseguenza delle relative sanzioni; l'illegittimità dell'avviso in quanto viola la ratio dell'agevolazione contenuta negli articoli 15 e seguenti del Dpr 601/73.
Su tali aspetti nell'ultimo periodo si sono avute, per quanto noto, alcune sentenze non omogenee con ciò aumentandosi "la confusione" che indirettamente si riproduce anche nei rapporti con la clientela finanziata.

Ecco una sintesi delle sentenze:

CTP Sondrio Sezione 3 sentenza n. 31-3/2014: la Commissione ritiene che nel caso di specie non deve necessariamente essere redatto un apposito e formale atto di accertamento nei confronti della stessa banca poiché le azioni di verifica intraprese nei confronti della banca capofila costituiscono atto fondato e motivato di conoscenza della pretesa tributaria anche da parte della banca interessata. D'altro canto appare verosimile come l'operazione di finanziamento si sia formata, sviluppata, concordata e conclusa in Italia sia per i soggetti che per l'oggetto avendo altresì esplicato i suoi effetti in Italia. La stipula all'estero è avvenuta ai soli evidenti fini di scontare un regime di tassazione più favorevole di quello italiano. Sono così respinte le tesi della ricorrente
CTP Lucca Sezione 3 sentenza n. 209-03/2014: secondo la Commissione il richiamo alle risultanze del PVC redatto nei confronti della capofila non soddisfa il necessario requisito motivazionale neppure per relazionem. Nello specifico l'ufficio ha traslato gli addebiti mossi alla capofila senza alcun validazione in relazione alla specifica realtà della banca peraltro senza fornire alcun riscontro. In sostanza non possono essere estesi in maniera acritica i rilievi mossi alla capogruppo anche nei confronti degli altri soggetti per la sola circostanza che essi risultano partecipanti ad un pool di finanziamento. L'ufficio si è cioè limitato a descrivere astrattamente come avvengono le operazioni in pool. Viene perciò accolta la tesi della banca.
CTP Bergamo Sezione 10 n.352/2014: nel caso di specie si trattava di operazione di factoring in cui la banca accertata risultava finanziatrice in pool della società di factoring la quale a sua volta, con le somme così ottenute, dava corso all'operazione di factoring con la clientela. La banca pertanto non era parte diretta del contratto di factoring. La Commissione dapprima afferma che il contratto di factoring pro-solvendo non può qualificarsi come un contratto di finanziamento in quanto non vi è un rapporto giuridico in base al quale la banca fornisce provvista finanziaria all'impresa. Per tale motivo il contratto della specie non rientra nelle previsioni dell'art. 15 del DPR 601/1973 né soggettivamente né, aggiungiamo, oggettivamente. Di più la banca è estranea al rapporto contrattuale di factoring e per tale motivo sono accolte le tesi della ricorrente.

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