Imposte

Superbonus, nei collabenti con il camino il salto di due classi è complicato

Se l’edificio è privo di copertura o di pareti perimetrali si può evitare di determinare la classe energetica di partenza, purché a valle dell’intervento di riqualificazione si arrivi almeno in classe A1

di Luca Rollino

Il meccanismo del 110% ha improvvisamente attirato l’attenzione degli addetti ai lavori sui sistemi di generazione a biomassa, tra i quali possono essere annoverati anche stufe e camini.

Il Dlgs 192/2005, così come modificato dal Dlgs 48/2020, infatti, all’articolo 2 dà la definizione di impianto termico: si tratta di un «impianto tecnologico fisso destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato (...)».

In base a tale definizione, ampliata rispetto al passato, qualsiasi sistema di generazione a biomassa viene considerato impianto. Dato che, se vi è un impianto, l’edificio da esso servito si considera riscaldato, la presenza di un camino o di una stufa garantiscono la possibilità di accesso all’ecobonus e al super ecobonus. La recente risposta 161 a interpello dell’agenzia delle Entrate ha inoltre ribadito che ai fini dell’ecobonus, per gli edifici collabenti (cioè crollanti), nei quali l’impianto di riscaldamento non è funzionante, deve essere dimostrabile che l’edificio sia dotato di impianto rispondente alle caratteristiche tecniche previste dal Dlgs 192/2005 e situato negli ambienti nei quali sono effettuati gli interventi di riqualificazione energetica.

Il sistema dei valori

I sistemi a biomassa sono tra le tecnologie proposte per realizzare interventi trainanti su edifici unifamiliari o su unità immobiliari funzionalmente indipendenti, situati in aree non metanizzate nei Comuni non interessati dalle procedure europee di infrazione n. 2014/2147 o n. 2015/2043. In tale caso il requisito tecnico richiesto dall’articolo 119 del Dl 34/2020 è relativo alle prestazioni emissive: si devono garantire i valori previsti almeno per la classe 5 stelle individuata ai sensi del regolamento di cui al decreto dell’Ambiente 186/2017. In aggiunta, si dovrà garantire il rispetto di quanto previsto dal Dm del 26 giugno 2015 “Requisiti Minimi”, che prevede al paragrafo 2.3 dell’Allegato 1 che l’installazione di generatori di calore alimentati a biomasse solide combustibili è consentita soltanto nel rispetto di rendimenti termici utili nominali corrispondenti alle classi minime previste dalle specifiche norme di prodotto.

Doppio salto a rischio

Tuttavia, quella che può essere una opportunità per ottenere le detrazioni, rischia di diventare un grosso problema se si vuole garantire il duplice salto di classe energetica, necessario all’accesso al 110%.

Il motivo è nella modalità di calcolo della classe di efficienza energetica di un edificio, basata sulla valutazione del fabbisogno di energia primaria non rinnovabile: maggiore sarà tale valore, peggiore sarà la classe energetica. E questo dato è influenzato anche dal tipo di fonte o vettore energetico utilizzato. In base alla Tabella 1 dell’Allegato 1 del Dm 26 giugno 2015, ogni unità di energia primaria derivata da biomassa solida contiene solo il 20% di energia primaria non rinnovabile, contro il 100% dei combustibili fossili.

Questo implica che, a parità di tutte le altre condizioni, per garantire la stessa classe energetica post intervento in un edificio in cui alla stufa si vada a sostituire una caldaia a condensazione, si dovrà ridurre a un quinto il fabbisogno energetico iniziale (tramite cappottatura e sostituzione infissi): il duplice salto di classe energetica diventa così particolarmente complicato. Per ovviare al problema, si può verificare che l’edificio di partenza sia privo di copertura o di pareti perimetrali: in tale caso, si rientra nella casistica per cui si può evitare di determinare la classe energetica di partenza (articolo 119, comma 1-quater del DL 34/2020), purché a valle dell’intervento di riqualificazione si arrivi almeno in classe A1.

Tuttavia, la Risposta 161 aggiunge due ulteriori requisiti: deve essere dimostrato, sulla base di una relazione tecnica, che nello stato iniziale l’edificio era dotato di un impianto idoneo a riscaldare gli ambienti di cui era costituito, e al termine dei lavori l’immobile rientri in una delle categorie catastali ammesse al beneficio (immobili residenziali diversi da A/1, A/8, A/9 e relative pertinenze).

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