Controlli e liti

Nel concordato può essere lecito il pagamento di alcuni creditori

di Angelo Busani e Alberto Guiotto

La revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo , disciplinata dall’articolo 173 della legge fallimentare, è oggetto di un ampio dibattito in dottrina e in giurisprudenza. I fatti che possono portare all’interruzione della procedura sono riconducibili a due distinte categorie: la prima comprende il compimento di atti di frode anteriori alla procedura o l’occultamento doloso di informazioni rilevanti; la seconda riguarda il compimento, nel corso della procedura, di atti non autorizzati o finalizzati a frodare i creditori.

Quest’ultima categoria, disciplinata dall’ultimo comma dell’articolo 173, include il pagamento non autorizzato di creditori concorsuali: di questa fattispecie si è occupata, seppure marginalmente, anche la Cassazione nella sentenza n. 2773 del 2 febbraio 2017, commentata nell’articolo qui a fianco. Occorre evidenziare, peraltro, che non tutti i pagamenti non autorizzati di debiti anteriori comportano automaticamente la revoca del concordato preventivo, ma solo quelli che non rispettino rigorosamente l’ordine dei privilegi o che non siano funzionali alla migliore soddisfazione dei creditori e che pertanto siano diretti a frodare le ragioni di questi ultimi. Parte della giurisprudenza ammette, inoltre, che la revoca del concordato possa essere scongiurata se prima dell’adunanza dei creditori venga ristabilita la par condicio creditorum mediante il ripristino delle somme pagate.

Molto più ampia è, in giurisprudenza, la casistica relativa agli atti di frode. Oltre alle fattispecie esaminate dalla Cassazione nella sentenza 2773/2017, sono stati considerati rilevanti ai fini della revoca del concordato, ad esempio: la distribuzione di dividendi nonostante una situazione finanziaria critica; la definizione di contenziosi in corso mediante transazioni considerate pregiudizievoli degli interessi del debitore; l’omessa indicazione della concessione di fideiussioni a favore di terzi; l’occultamento di patti parasociali e di conseguenti obblighi di indennizzo; il rimborso di finanziamenti soci postergati; l’esecuzione di pagamenti preferenziali a beneficio di una società partecipata; la mancanza di informazioni circa la pendenza di cause al momento della proposizione della domanda di concordato.

Non costituiscono, invece, causa di interruzione della procedura il mancato inizio di un’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori o la semplice omissione di notizie su loro possibili responsabilità.

Le varie pronunce giurisprudenziali hanno, quale filo conduttore, la necessità che l’atto di frode, per giustificare la revoca dell’ammissione alla procedura di concordato preventivo, sia finalizzato a occultare situazioni idonee a influire sul giudizio dei creditori. Ne consegue, secondo la giurisprudenza dominante, che non può essere considerato atto di frode quello del quale il debitore abbia dato piena disclosure nella proposta di concordato. Il fatto che gli atti di frode siano irrilevanti ai fini dell’interruzione della procedura per il solo fatto di essere stati “confessati” lascia, tuttavia, qualche dubbio. Si è infatti giustamente rilevato, in dottrina, come l’atto di frode possa essere rimosso solo se viene meno il risultato che ne è conseguito, posto che la semplice confessione non ne rimuove gli effetti.

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