Imposte

Nelle frodi carosello l’acquirente «salva» l’Iva e i costi agevolati

Lo stabilisce la Cassazione con l’ordinanza 4428/20

ADOBESTOCK

di Giuseppe Morina, Tonino Morina

Per contestare le operazioni “soggettivamente inesistenti”, e negare la detrazione dell’imposta e la deduzione dei costi, il Fisco deve fornire la prova che vi sia stata la consapevole e volontaria partecipazione dell’acquirente alla truffa. Senza questa prova, gli accertamenti devono essere annullati: così afferma la Cassazione (ordinanza 4428/20, depositata il 20 febbraio 2020), dichiarando inammissibile il ricorso dell’amministrazione finanziaria.

Gli accertamenti «bocciati»
L’agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Milano, a seguito di presunte operazioni “soggettivamente inesistenti”, aveva infatti emesso accertamenti, per gli anni 2004, 2005 e 2006, con richiesta di somme superiori a 50milioni di euro, tra imposte, sanzioni e interessi.
Per operazioni “soggettivamente inesistenti” si fa riferimento a quelle effettivamente avvenute, ma nelle quali il fornitore reale è differente da quello che appare e che ha emesso la fattura. In questo caso, secondo l’ufficio, la società acquirente avrebbe dovuto sapere che l’operazione era stata effettuata per evitare alla società venditrice “A” di pagare l’Iva. Cioè per una cosiddetta “frode carosello”.

Dopo che il ricorso presentato dalla società acquirente è stato accolto dai giudici della Ctp di Milano, l’ufficio si è rivolto in appello alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale (con la sentenza 113/46/2012, depositata il primo ottobre 2012) l’ha rigettato, confermando la sentenza di primo grado. Secondo la Ctr, la società acquirente non poteva conoscere i comportamenti successivi della società venditrice “A”, che si era trasferita a Malta senza pagare le imposte.

La buona fede dell’acquirente
Nonostante le due bocciature in primo e secondo grado, l’agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per Cassazione, dichiarato appunto “inammissibile”. Per i giudici di legittimità, «nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’Iva pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere (...) con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode».

Resta dunque fermo che, in base ai principi consolidati della Cassazione, il contribuente che acquista in buona fede può detrarre l’Iva e dedurre i relativi costi, in quanto non è responsabile del comportamento illegittimo dei suoi fornitori che evadono o commettono frodi. Nel caso specifico di questo contenzioso relativo agli anni 2004, 2005 e 2006, la Suprema corte, oltre a dichiarare inammissibile il ricorso del Fisco, lo ha condannato a pagare le spese di giudizio per 38mila euro, oltre 200 euro per esborsi, accessori di legge e rimborso delle spese generali nella misura del 15 per cento.

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