Imposte

Nelle fusioni doppie limitazioni al riporto delle perdite fiscali

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di Michele Dimonte


Alcuni recenti chiarimenti dell’amministrazione finanziaria forniscono una nuova lettura interpretativa delle disposizioni limitative del riporto di talune “posizioni soggettive” (tra cui le perdite fiscali) nell’ambito delle operazioni di fusione, al di fuori del consolidato fiscale prevendendo la sussistenza di un’ulteriore condizione (non espressamente prevista dalla norma) e il depotenziamento di un’altra (che, invece, è prevista dalla norma).

Con riguardo alla «condizione integrativa», la risposta a interpello 527/2019 precisa che la non riconduzione della società che riporta le perdite a una «bara fiscale» è dimostrata, tra l’altro, dalla circostanza che «il valore economico della società è superiore al vantaggio fiscale derivante dall’utilizzo in compensazione delle perdite fiscali sociali riportabili» (si veda anche Il Quotidiano del Fisco del 14 dicembre). È quindi necessario che il valore economico della società sia superiore al valore delle “attività per imposte anticipate” iscritte nello stato patrimoniale ove queste ultime siano l’espressione del beneficio fiscale connesso al futuro utilizzo delle perdite fiscali riportabili.

La correlazione tra il valore economico della società che riporta le perdite fiscali e il beneficio fiscale connesso alle predette perdite appare concettualmente corretta, anche se andrebbe considerata la circostanza che l’orizzonte temporale preso in considerazione per la determinazione del valore economico di una società potrebbe essere più ristretto di quello ipotizzato per il recupero delle perdite fiscali.

Con riguardo alla «condizione obsoleta», la medesima risposta attesta la «supremazia» del «test di vitalità» rispetto al «limite del patrimonio netto». In sostanza, ai fini del riporto delle perdite fiscali, è sufficiente che sussistano gli «indici di vitalità economica» (in concomitanza, come già rilevato, con la prevalenza del valore economico della società sul vantaggio fiscale connesso alle «posizione soggettive» riportabili), a nulla rilevando l’ammontare del patrimonio netto. Il limite quantitativo nasceva in un contesto storico diverso in cui le perdite fiscali potevano essere riportate in avanti entro un arco temporale quinquennale. Per tale motivo il legislatore aveva ipotizzato che i redditi eccedenti l’ammontare del patrimonio netto fossero realizzati dalle altre società partecipanti alla fusione (generando quindi un fenomeno di compensazione intersoggettiva). Con la risposta 527/2019, l’amministrazione finanziaria sembra quindi recepire l’orientamento di quella parte della dottrina secondo cui la modifica della disciplina del riporto delle perdite con previsione di utilizzo senza limitazioni temporali ha reso superflua la verifica del limite del patrimonio netto.

Da ultimo, si segnala che la risposta non affronta il rapporto esistente tra le due disposizioni antiabuso applicabili nel caso di specie - ovverosia gli articoli 84, comma 3, e 172, comma 7, del Tuir - considerato che la fusione è stata preceduta dal trasferimento del “controllo” delle partecipazioni delle società oggetto di aggregazione. In tale ipotesi, si tratta di stabilire se la disposizione di cui all’articolo 172, comma 7 rechi una disciplina di carattere antiabuso speciale ed autonoma che prevale sull’analoga previsione recata dall’articolo 84, comma 3, del Tuir ovvero se le due disposizioni trovino applicazione concorrente. Tale ultima disposizione, come noto, è stata introdotta anch’essa al fine di contrastare il fenomeno di commercio di “bare fiscali” attuato attraverso il trasferimento di partecipazioni di controllo in società portatrici (esclusivamente o prevalentemente) di perdite fiscali e prive di vitalità economica, laddove accompagnato dalla modifica nell’attività di fatto esercitata, nell’intervallo di tempo considerato dalla norma. La definizione del rapporto esistente tra le due disposizioni non è di poco conto considerato che l’articolo 84, comma 3, del Tuir richiede che “le partecipazioni siano relative a società che nel biennio precedente a quello di trasferimento hanno avuto un numero di dipendenti mai inferiore alle dieci unità” (requisito non previsto nel caso dell’articolo 172, comma 7).

La ratio comune ad entrambe le disposizioni e l’assenza di una specifica previsione volta a disciplinare l’eventuale sussistenza di un rapporto di genere/specie tra le medesime induce a concludere per l’applicazione concorrente delle due disposizioni (al ricorrere dei rispettivi presupposti). Al contribuente è in ogni caso consentita la simultanea sterilizzazione delle disposizioni in questione attraverso l’interpello disapplicativo volto a dimostrare che:
•la società che riporta le «posizione soggettive» non è una «bara fiscale» in quanto risultano soddisfatti gli indici di «vitalità economica»;
• e il valore economico della partecipazione “eccede” il vantaggio fiscale connesso ai predetti tax assets.

Agenzia delle Entrate, risposta a interpello 527/2019

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