Nelle scalate societarie vanno dichiarati i mezzi e gli obiettivi
La normativa sulle “scalate societarie” (cosiddetta normativa “antiscorrerie”) è il nuovo comma 4 bis introdotto nell'articolo 120 del Tuf dall'articolo 13 del collegato fiscale Dl 16 ottobre 2017, n.148), con una rilevante delega regolamentare alla Consob.
La novità
Il Dl tocca gli obblighi di comunicazione (alla società partecipata e alla Consob) degli assetti proprietari, che sinora richiedeva (tutte le volte che si superano certe soglie di capitale “votante”, a partire dal 3%, e se Pmi 5%) di far trasparire soltanto le caratteristiche partecipative degli strumenti (tipo e numero delle azioni e strumenti finanziari con diritto di voto mirato). Con la nuova normativa, a ogni soglia raggiunta o superata (10, 20 e 25%) l’acquirente dovrà dichiarare anche gli “obiettivi” che intende perseguire nel corso dei sei mesi successivi: il legislatore sembra riferirsi anche alle scelte imprenditoriali strategiche, industriali e finanziarie, ovviamente collegate alla posizione e alle prerogative di azionista come tale (e quindi non soltanto la misura e le modalità di esercizio del potere che intende avere, ma anche che cosa intende fare con quel potere). Inoltre, più specificamente, il Dl indica una serie di elementi (il cui contenuto spetterà alla Consob dettagliare con regolamento) da comunicare come: la struttura dell’acquisizione (come e da chi è stata finanziata, e con chi eventualmente si agisce); e i margini di influenza che si vuole raggiungere (se si intende incrementare la partecipazione, acquisire il controllo/influenza sulla gestione, integrare o revocare gli organi amministrativi o di controllo; quali le intenzioni su eventuali accordi parasociali).
La trasparenza
Il cambio di passo nella direzione della trasparenza rispetto al passato è radicale, anche se in armonia con il diritto comunitario e di altri ordinamenti (esemplare la Francia). La giusta esigenza è quella, attraverso la trasparenza delle “intenzioni” intorno alle acquisizioni delle partecipazioni, di migliorare il grado di efficienza sia del mercato del controllo societario e dei capitali a tutela di tutti gli stakeholders, sia delle dinamiche di governance aziendali a tutela degli stessi emittenti.
Tra le varie prospettive cui l’ordinamento sembra puntare, con l’obiettivo della buona corporate governance del e nel mercato, è utile concentrarsi su quella che vede interagire gli investitori istituzionali con gli emittenti. Da un lato infatti, sulla scia delle best practices di stewardship per l’esercizio dei diritti amministrativi e di voto nelle società quotate, si va affermando la tendenza a rendere più permeabile il confine tra proprietà (“qualificata”: in sintesi investitori istituzionali, gestori e advisor) e management, destinatario di richieste di disclosure mirata da parte degli investitori al fine di stimolare il confronto e la collaborazione, ma che finisce per esercitare una certa suasion sulle stesse scelte gestionali. Dall’altro - e la normativa di cui parliamo ne è conferma - si chiede trasparenza e quindi “responsabilizzazione” in primis nei confronti dell’emittente da parte degli stessi investitori in vista della progressiva acquisizione di posizioni di potere. In tale ordine di idee si muovono vasti settori del diritto del mercato finanziario, tra cui la recente direttiva (Ue) 2017/1132 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 (disciplinante e “relativa ad alcuni aspetti di diritto societario), che prevede per esempio più ampi diritti di informazione a beneficio dell’emittente sulla identità degli azionisti.
Il ruolo della Consob
In questa cornice si può meglio leggere la portata della modifica imposta dal Senato (e che non pare verrà emendata alla Camera). Essa prevede un’ampia delega alla Consob, che potrà individuare con proprio regolamento i casi in cui «la suddetta dichiarazione non è dovuta, tenendo conto delle caratteristiche del soggetto che effettua la dichiarazione o della società di cui sono state acquistate le azioni». Dovrebbe quindi trattarsi di casi in cui la disclosure non serve ai fini di cui sopra, o peggio può essere dannosa. Potrebbe in prima battuta pensarsi a investitori di rilevanza pubblicistica che debbano mantenere un certo grado di riservatezza in funzione di interessi superiori, o a soggetti già detentori di posizioni di controllo stabile, ovvero ancora a soggetti che subiscano superamenti non intenzionali (c.d. “passivi) delle soglie (così per effetto di trasferimenti di partecipazioni voluti da altri). Ma va da sé che l’opzione regolamentare vada attentamente valutata: nell’ottica virtuosa di check and balance è comunque altamente auspicabile che la regolamentazione dell’Autorità di vigilanza, nel prevedere i casi di esenzione, non finisca con lo svuotare la portata precettiva dell’innovazione e quindi “spuntare l'arma” della trasparenza.