Controlli e liti

Niente bonus prima casa con una precedente abitazione anche se inidonea

La sentenza 3341/13/2022 della Ctr Lombardia esclude l’agevolazione all’acquisto in caso di prepossidenza di un immobile seppur non adatto a essere abitato

di Angelo Busani

L’agevolazione «prima casa» non può essere invocata dal contribuente che sia già proprietario di altra casa nel medesimo Comune, anche se quest’ultima sia «inidonea» all’uso abitativo. Così la sentenza 3341/13/2022 della Ctr Lombardia, che segna dunque l’ennesima puntata della neverending story in tema di situazione di e «inidoneità» della casa «preposseduta».

I requisiti

La legge indica quale presupposto dell’ottenimento dell’agevolazione «prima casa» la non titolarità (e, cioè, la cosiddetta «impossidenza»), da parte dell’acquirente:

a) «dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare» (nota II-bis, comma 1, lettera b), all’articolo 1, tariffa parte prima allegata al Dpr 131/1986);

b) «dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata» in qualsiasi luogo del territorio nazionale «dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni» tempo per tempo vigenti a far tempo dalla legge 168/1982, in avanti (nota II-bis, comma 1, lettera c), all’articolo 1, tariffa parte prima).

Il concetto di «prepossidenza»

La normativa punta, dunque, l’obiettivo sulla mera «prepossidenza» di un’«altra casa di abitazione» e, cioè, senza null’altro aggiungere per qualificare tale «prepossidenza»: di conseguenza, il fattore impediente sarebbe la «prepossidenza» di una qualsiasi «altra casa» (o situata nel medesimo Comune o acquistata con l’agevolazione in parola), indipendentemente dal fatto che essa sia bella o brutta, grande o piccola, larga o stretta, alta o bassa, nuova o vecchia, elegante o degradata, sofisticata o fatiscente, strutturalmente in ordine o completamente diroccata, eccetera.

Ora, se si conosce la storia dell’agevolazione «prima casa», questo riferimento, fatto dal legislatore alla «prepossidenza» (senza altra qualificazione) di una qualsiasi «altra casa» (e, pertanto, a prescindere dalle sue condizioni oggettive e, tanto meno, dalla situazione soggettiva di chi ne è titolare), è da ritenere un riferimento assolutamente voluto (e, quindi, non è un’espressione da intendere come scritta sbadatamente): l’attuale formulazione normativa venne, infatti, introdotta dopo che pessima prova di sé fecero, nel periodo compreso tra il 24 gennaio 1993 e il 31 dicembre 1995, dapprima il disposto dell’articolo 1, comma 1,del Dl 16/1993 (per il quale l’acquirente doveva dichiarare «di non possedere altro fabbricato o porzioni di fabbricato idoneo ad abitazione» che fosse stato acquistato con o senza l’agevolazione «prima casa») e, poi, l’articolo 16, del Dl 155/1993 (il quale dispose che l’acquirente doveva dichiarare «di non possedere altro fabbricato o porzioni di fabbricato idoneo ad abitazione nel comune ove è situato l’immobile acquistato»).L’idoneità

In altri termini, con l’articolo 1, comma 1, Dl 16/1993, era stato introdotto il principio (in seguito reiterato dall’articolo 16, del Dl 155/1993) in base al quale la «prepossidenza» di una abitazione in tanto non era ostativa di un nuovo acquisto agevolato in quanto si trattasse di un fabbricato non «idoneo ad abitazione»; concetto, quello dell’«idoneità», del quale l’Amministrazione provò, peraltro, a suggerire una interpretazione in senso «oggettivo» (circolare n. 1/E del 2 marzo 1994), ma che era inevitabilmente intriso di un forte carattere di «soggettività»: se un contribuente fosse stato titolare di un fabbricato «idoneo» o meno era, infatti, una situazione che si prestava ad essere valutata caso per caso, tenendo in considerazione sia le caratteristiche del fabbricato sia le esigenze personali del contribuente e della sua famiglia.

La constatazione di questa difficoltà di valutazione di ogni singolo caso concreto e delle sue specifiche peculiarità, sospinse, dunque, il legislatore, nemmeno due anni dopo dall’entrata in vigore della norma recante quel concetto di «idoneità» (vale a dire dell’articolo 1, comma 1, del Dl 16/1993), a tornare sui propri passi e a ristabilire, con l’articolo 3, comma 131, legge 549/1995, lo status quo ante, e, cioè, a sancire che l’acquirente dovesse dichiarare solamente «di non essere titolare […] dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare» (e, quindi, espungendo dal testo normativo qualsiasi riferimento all’«idoneità» del fabbricato preposseduto e, con esso, qualsiasi valutazione soggettiva in ordine alla capacità della casa preposseduta a costituire, o meno, una soddisfacente sistemazione abitativa).

Questa svolta, da un testo normativo che puntava a una valutazione caso per caso dell’«idoneità» dell’abitazione preposseduta, a un testo normativo che, invece, ha posto come ostacolo all’ottenimento dell’agevolazione la titolarità di una casa tout court (e, quindi, di una casa “qualsiasi”), ha indubbiamente condizionato la prassi professionale e la dottrina, le quali mai hanno, dunque, dubitato, dal 1° gennaio 1996 fino alla decisione di Cassazione n. 18129/2009 (e, forse, anche “tirando un sospiro di sollievo” in tal senso, a causa della difficoltà di valutazione – e, quindi, dell’opinabilità - del concetto di «idoneità»), che l’unica indagine da effettuarsi per conseguire l’agevolazione «prima casa» fosse (non più quella circa l’«inidoneità» della casa preposseduta, ma) solo quella inerente la mera oggettiva “impossidenza” di una casa, qualunque essa fosse, comunque essa fosse conformata e qualsiasi fossero le condizioni (personali o familiari) del suo proprietario.

L’evoluzione della giurisprudenza

Quanto alla giurisprudenza, essa - sempre dal 1° gennaio 1996 in avanti - mai si è occupata dell’«idoneità» della casa preposseduta, se non in vertenze insorte tra il fisco e i contribuenti per atti di acquisto, stipulati, appunto, tra il 24 gennaio 1993 e il 31 dicembre 1995, nelle quali l’Amministrazione, invero, sostenne (al cospetto di un dettato normativo che conferiva appunto rilevanza alla situazione di «inidoneità» della casa «preposseduta») una battaglia di retroguardia, accampando la propria (insostenibile) visione “oggettiva” del concetto di «idoneità», mentre i contribuenti ebbero gioco facile presso i giudici nel concludere (essenzialmente in relazione ad abitazioni di modeste dimensioni oppure locate a terzi oppure ancora, nella maggior parte dei casi, distanti dal luogo di lavoro dell’acquirente) che il concetto di «idoneità» indicato dalla legge era, per sua stessa natura, fortemente connotato da intrinseche caratteristiche di soggettività (Cassazione, 9647/1999, 11428/1999, 8771/2000, 7505/2001, 7686/2002, 16774/2002, 2418/2003, 4614/2003, 10925/2003, 19738/2003, 12023/2008, 5493/2009, 23064/2012).

Sennonché, all’improvviso, dopo esser stata sopita per quasi quindici anni per effetto del mutato scenario legislativo sopra descritto, la questione dell’«idoneità» della casa preposseduta è tornata prepotentemente alla ribalta, nonostante la menzionata evoluzione del quadro normativo di riferimento, con l’autorevolezza propria della giurisprudenza di legittimità (Cassazione, 18128/2009, 100/2010, 3931/2014); e anche questa volta l’ Amministrazione non ha apprezzato (risoluzione n. 86/E/2010), salvo, ma solo in talune specifiche occasioni, successivamente riconoscere (e, quindi, ammettere che la prepossidenza osservata nel caso concreto non ostacolava un ulteriore avvalimento dell’agevolazione) la inidoneità oggettiva di un fabbricato lesionato da un terremoto e di un edificio distrutto da un incendio e, perciò, resi inagibili (risoluzione n. 107/E/2017; risposta a interpello n. 956-2920/2021; principio di diritto n. 1 del 17 marzo 2022).

L’«inidoneità oggettiva» del fabbricato conseguente alla sua inagibilità è stata contemplata anche nelle istruzioni alla compilazione della dichiarazione di successione (quali risultanti dal provvedimento delle Entrate n. 728796 del 21 ottobre 2019), ove si legge quanto segue: «Se … il beneficiario dell’eredità, al momento dell’apertura della successione, si trova in una ipotesi di inidoneità oggettiva (inagibilità) all’utilizzo abitativo dell’immobile posseduto per il quale ha già usufruito dell’agevolazione “prima casa”, può richiedere di usufruire nuovamente dell’ agevolazione “prima casa” sull’immobile ad uso abitativo caduto in successione».

In particolare, nella sentenza 18128/2009 la Suprema corte ha ritenuto che «il requisito dell’«impossidenza di altro fabbricato o porzione di fabbricato destinato ad abitazione» sussiste nel caso di carenza di alloggio concretamente idoneo a sopperire ai bisogni abitativi, e, pertanto, non resta escluso dalla proprietà di un altro appartamento, ove l’interessato deduca e dimostri che non sia in grado, per dimensioni e complessive caratteristiche, di soddisfare dette esigenze», mentre nella ordinanza 100/2010 (scritta, invero, in un modo un po’ sbrigativo e senza far capire se la fattispecie oggetto del giudizio avesse, o meno, a che fare con la normativa di cui al Dl 16/1993 e al Dl 155/1993 e, comunque, emanata in una fattispecie di prepossesso - è bene notarlo - di una unità abitativa della superficie di 22,69 metri quadrati) la Cassazione ha sostenuto che, quando la legge pone quale condizione «per l’applicazione dell’aliquota ridotta dell’imposta di registro, la non possidenza di altra abitazione, si riferisce, anche alla luce della ratio della disciplina, a una disponibilità non meramente oggettiva, bensì soggettiva, nel senso che ricorre il requisito dell’applicazione del beneficio anche all’ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a sopperire ai bisogni abitativi suoi e della famiglia».

Quanto, poi, al fatto che la normativa del Dl 16/1993 e del Dl 155/1993 (che era esplicita sul punto della rilevanza dell’«inidoneità» della casa preposseduta) sia stata sostituita (con l’articolo 3, comma 131, legge 549/1995) da una disciplina in cui il concetto di «idoneità» più non compare, la Corte ritiene (nella sentenza n. 18128/2009) che «la successiva normativa, lungi dallo introdurre un requisito nuovo, come assume la ricorrente, appare, invece, meramente interpretativa di quella precedente»; e ciò in quanto (secondo la successiva ordinanza 19989/2018) «il concetto di idoneità o inidoneità deve ritenersi intrinseco alla nozione di abitazione […] anche alla luce della ratio della disciplina, che è quella di agevolare l’acquisto di un alloggio finalizzato, appunto, a sopperire ai bisogni abitativi dell’acquirente e della sua famiglia».

La sorpresa causata da queste decisioni della giurisprudenza di legittimità (al cospetto di una prassi professionale pluriennale in quanto sviluppatasi dal 1996 al 2009 - nell’àmbito della quale al requisito dell’«inidoneità» della casa preposseduta non pare esser stata conferita la benché minima rilevanza) fu tale da far pensare, a prima lettura, che la Cassazione fosse, in effetti, incorsa in una (un po’ clamorosa) svista (anche perché la motivazione, assai succinta, delle due decisioni – la n. 18128/2009 e la n. 100/2010 – induceva a pensare che il problema non fosse stato granché meditato): o per aver ritenuto ancora vigente la predetta normativa di cui al Dl 16/1993 e al Dl155/1993 oppure per aver giudicato, secondo tale normativa (e, quindi, in base alla giurisprudenza formatasi su di essa), fattispecie che, originatesi, invece, dopo il 1° gennaio 1996, dovevano essere valutate, invero, secondo il disposto della legislazione successivamente intervenuta e per le quali non era conferente il richiamo alla detta giurisprudenza.

La svolta della Cassazione

Al contrario, in base a una lettura meno frettolosa delle decisioni del 2009-2010, quella effettuata dalla Cassazione in tale biennio appare essere una vera e propria svolta.In altri termini, secondo l’attuale prevalente orientamento della Cassazione (Cassazione 21289/2014, 2278/2016, 27376/2017, 2565/2018, 19989/2018, 20300/2018, 13118/2019, 18091/2019, 13531/2020, 5051/2021, 20981/2021, condiviso dalla dominante giurisprudenza di merito):

a) con la sentenza n. 6476/1996 è stato inaugurato l’indirizzo per il quale, detto in sintesi, «una casa» non è «una casa» se essa non sia «idonea» per un utilizzo abitativo;

b) la legislazione successiva al 31 dicembre 1995, pur non menzionando più il requisito dell’«idoneità» della casa «preposseduta» (previsto, invece, nella legislazione vigente tra il 24 gennaio 1993 e il 31 dicembre 1995), non lo avrebbe espunto, poiché essa comunque presupporrebbe implicitamente il requisito dell’«idoneità»;

c) l’inidoneità della casa «preposseduta» permette un nuovo acquisto agevolato (e, cioè, senza che si debba alienare la «prepossidenza») qualora si tratti di una «prepossidenza» (non acquistata con l’agevolazione «prima casa» e) ubicata nel medesimo Comune nel quale è ubicata la casa oggetto del nuovo acquisto;

d) l’inidoneità della casa «preposseduta» non permette, d’altro canto, un nuovo acquisto agevolato qualora si tratti di una «prepossidenza», ovunque ubicata, che sia stata acquistata con l’agevolazione «prima casa» (derivando la differenza, con la fattispecie al punto precedente, dalla considerazione che - secondo il disposto di legge - la «prepossidenza» di un diritto di nuda proprietà - non acquistato con l’agevolazione «prima casa» - non impedisce un nuovo acquisto agevolato, mentre lo impedisce la «prepossidenza» di un diritto di nuda proprietà acquistato con l’agevolazione «prima casa»: ciò che porta a concludere che, se è impediente anche un diritto di nuda proprietà, allora non c’è modo di dar ingresso a un giudizio di inidoneità della «prepossidenza»);

e) l’inidoneità di cui sopra alla lettera c) può essere conseguente sia a fattori soggettivi che a fattori oggettivi di qualsiasi natura e specie e, tra questi ultimi, dovrebbe essere ricompresa anche (a meno che non si provi una sua “maliziosa preordinazione”) la fattispecie dell’«inidoneità giuridica» (e, cioè, il fatto che, ad esempio, la casa preposseduta sia indisponibile per la sussistenza di un altrui diritto di godimento, derivante dalla concessione di un usufrutto o per effetto di un contratto di locazione, senza che abbia rilevanza il carattere temporaneo del diritto di godimento del conduttore).

In sostanza, «non si può ritenere d’ostacolo … all’applicazione delle agevolazioni “prima casa” la circostanza che l’acquirente dell’immobile sia al contempo proprietario d’altro immobile (acquistato senza agevolazioni nel medesimo Comune) che, “per qualsiasi ragione” sia inidoneo … ad essere destinato a sua abitazione» (Cassazione 2565/2018). Ma non v’è chi non veda che questo ragionamento sarebbe bensì coerente ove la legge imponesse l’onere, a chi compra la “prima casa”, di andarvi effettivamente ad abitare; ma si appalesa oltremodo contradditorio se si considera che, da un lato, il prepossesso, nel medesimo Comune, di una casa inidonea all’uso abitativo non inibisce l’avvalimento della agevolazione, quando, poi, d’altro lato, non vi è alcun onere che la casa acquistata con il beneficio fiscale sia destinata ad abitazione del contribuente che ha approfittato del trattamento fiscale privilegiato.

Le difficoltà di valutazione

Questa svolta interpretativa (che è senz’altro gradita, perché favorevole – una volta tanto – al contribuente) rende, però, irta di difficoltà la prassi professionale quotidiana: se, infatti, si possa o debba “mettere sul tavolo” una valutazione (in termini di sua «idoneità») della casa già in possesso dell’acquirente, per giudicare se essa sia «idonea» o meno alle sue attuali esigenze abitative (concetto – come detto – intriso di discrezionalità), si finisce per introdurre un criterio talmente discrezionale da non essere praticamente gestibile. «Inidonea» potrebbe essere una casa divenuta troppo piccola per l’aumento del numero dei famigliari del contribuente in questione o troppo grande a causa della loro diminuzione; oppure potrebbe essere «inidonea» una abitazione prima tranquillamente utilizzabile ma che, poi, si renda inaccessibile (a causa di essere ubicata in un piano elevato non servito da un ascensore) a chi resti vittima di un incidente che ne comprometta la deambulazione; «inidonea» potrebbe essere anche una casa posizionata in un luogo insalubre per il mutamento delle condizioni di salute del suo proprietario o che si renda inutilizzabile a causa della distanza dal suo luogo di studio o di lavoro. Inidonea potrebbe essere anche l’abitazione sulla quale il contribuente non abbia un diritto che non ne comporti «il potere di disporne come abitazione propria» (Cassazione 21289/2014) come accade nel caso della casa locata a terzi. Infine, «inidonea» potrebbe essere la casa fatiscente (o divenuta tale, ad esempio, a causa di un incendio o di un terremoto) o priva di impianti o servizi. E si potrebbe proseguire con questi esempi pressoché all’infinito.

La dichiarazione dell’acquirente

Vi è, inoltre, comunque, un non indifferente problema tecnico-giuridico: la legge sulla agevolazione per l’acquisto della «prima casa» richiede che l’acquirente, per ottenere l’agevolazione, debba dichiarare «di non possedere altra casa di abitazione». Si tratta di una dichiarazione che evidentemente non può essere resa da chi già sia titolare di un’altra abitazione (seppur si tratti di una casa ritenuta «inidonea») poiché in tal caso, a causa della mendacità, si rischia la revoca dell’ agevolazione e una sanzione: chi voglia accampare l’«inidoneità» dell’ abitazione già in sua proprietà deve, quindi, dichiararne comunque l’esistenza, seppur precisando le ragioni che la renderebbero «inidonea» (e, perciò, non ostativa all’avvalimento dell’agevolazione «prima casa» in occasione di un nuovo acquisto).

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