Niente Irap se l’invio della dichiarazione è stato «obbligato»
L’avvocato non deve versare l’Irap e poi chiedere il rimborso se è stato costretto a compilare il relativo quadro della dichiarazione dei redditi solo perché, in mancanza, il sistema informatizzato non gli consentiva l’invio della stessa dichiarazione. Lo ha chiarito la Cassazione con la sentenza 16747/2017 .
La vicenda
La Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettando l’appello del contribuente, ha riconosciuto fondata la pretesa avanzata con la cartella di pagamento emessa (ex articolo 36-bis del Dpr 600/73), a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi 2002 di un avvocato. In particolare, il giudice di appello, sulla base sia delle spese per l’acquisto di beni strumentali e di beni immobili, sia dei compensi corrisposti a terzi, ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’automa organizzazione ex articolo 2 del Dlgs 446/1997. Inoltre ha rilevato che il legale, pur avendo provveduto a dichiarare l’imposta dovuta, ne aveva omesso il versamento mentre avrebbe dovuto effettuarlo e, poi, chiederne il rimborso, dimostrando di averne diritto. Il contribuente ha proposto ricorso per cassazione e la Corte lo ha accolto.
La sentenza
I giudici di legittimità hanno ribadito che:
a) l’impugnazione della cartella ex articolo 36-bis non è preclusa dal fatto che sia stata emessa sulla base dati evidenziati dal contribuente nella propria dichiarazione poiché quest’ultima, avendo la natura di dichiarazione di scienza, è ritrattabile a seguito dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione (Cassazione, 9872/2011);
b) a seguito di errore nella dichiarazione presentata, la debenza del tributo può essere contestata dal contribuente anche in sede di impugnazione, nonostante la scadenza del termine ex articolo 2, comma 8, del Dpr 322/98, e a condizione che lo stesso contribuente non abbia effettuato il versamento del tributo stesso, lasciando spirare il termine di decadenza per il rimborso.
Ciò in quanto le dichiarazioni dei redditi sono emendabili anche in sede processuale se, dall’errore commesso dal dichiarante, deriva un tributo più gravoso di quello dovuto per legge, in violazione del principio di capacità contributiva ex articolo 53 della Costituzione (Cassazione, 4049/2015). Nella fattispecie esaminata, quindi, la Corte ha riconosciuto all’avvocato di difendere, in sede processuale, il proprio errore compilativo.
Cassazione, sentenza 16747/2017