Niente mini-voluntary per le attività in un altro Stato estero
Le attività di natura finanziaria detenute in uno Stato estero diverso da quello di origine del reddito di lavoro autonomo o dipendente non possono beneficiare della mini voluntary. La conferma è arrivata dalla circolare 12/E/2018 . Questa restrizione del campo di applicazione della sanatoria è stata introdotta con il provvedimento dell’agenzia delle Entrate 110482/2018 (paragrafo 2.2) , ma, in realtà, non è prevista dalla norma primaria (articolo 5-septies del Dl 148/2017), la quale, invece, consentirebbe di regolarizzare le attività finanziarie depositate all’estero – in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale, senza porre ulteriori condizioni riguardo al loro luogo di detenzione. In questo modo si è ristretta ulteriormente la platea di soggetti (già di per sé molto limitata) che possono accedere alla procedura.
Il provvedimento introduce in via amministrativa un presupposto di applicazione della norma non previsto dalla legge. Nella legge l’unico caso in cui è richiesto un “collegamento” con il Paese di svolgimento dell’attività lavorativa riguarda le somme e attività derivanti dalla vendita di beni immobili, regolarizzabili solo a condizione che tali immobili siano stati «detenuti nello Stato estero di prestazione della propria attività lavorativa in via continuativa» (articolo 5-quinquies, comma 2).
Un ulteriore elemento di criticità emerge poiché, nonostante sia espressamente previsto dalla norma che la procedura consente la regolarizzazione delle attività in questione «anche ai fini delle imposte sui redditi prodotti dalle stesse», il provvedimento richiede, al paragrafo 7, la predisposizione (del cui obbligo non v’è traccia nella norma) di una relazione «idonea a rappresentare analiticamente», fra l’altro, la «determinazione dei redditi di lavoro prodotti all’estero (…), da cui le attività depositate o le somme detenute derivano» e l’ «individuazione degli eventuali maggiori imponibili, rilevanti ai fini delle imposte sui redditi e/o dell’Ivafe, in relazione ai quali sono state commesse violazioni dichiarative da regolarizzare con la procedura di emersione». Questa richiesta è ulteriormente dettagliata nella circolare che vi dedica l’ apposito paragrafo 5.
Si tratta di dati la cui determinazione richiede elaborazioni articolate e complesse e spesso presuppone l’acquisizione ulteriore di documentazione presso gli intermediari esteri rispetto ai normali rendiconti.
Adempimenti che si richiede, tra l’altro, ai contribuenti ed ai relativi professionisti di portare a termine in tempi ristretti, tenuto conto che il termine di scadenza per la presentazione della relazione è fissato al 31 luglio 2018.
Se la norma prevede il versamento del 3% del valore delle attività e della giacenza al 31 dicembre 2016 a titolo di imposte, sanzioni e interessi, non è chiaro da dove derivi l’esigenza di ricostruire i maggiori imponibili ai fini delle imposte sui redditi (finanziari) e dell’Ivafe.