Controlli e liti

Non imponibilità se c’è il «vincolo» tra export e vendita

I giudici si sono più volte pronunciati sullo status dei beni trasferiti all’estero

A sostegno delle conclusioni della risposta 238/2020 (non imponibilità Iva delle vendite di beni precedentemente esportati), le Entrate richiamano le sentenze della Cassazione 5894/2013 (cui potrebbe aggiungersi la successiva conforme 5168/2016) e 23588/2012. Si tratta di pronunce le cui affermazioni paiono però poco convincenti.

La sentenza 5894/2013 pare infatti attribuire particolare pregio alla circostanza per cui i beni ceduti sono stati oggetto di previa temporanea esportazione (per inciso, si osserva che i beni di cui alla recente risposta a interpello sono invece esportati in via definitiva in attesa della futura eventuale cessione). Questo significa che le merci mantengono anche durante la permanenza all’estero lo status di merci nazionali, qualifica che, nell’ottica dei giudici, li renderebbe suscettibili di qualificare la vendita come cessione non imponibile. Ciò, verosimilmente, nel presupposto che la norma nazionale (ora articolo 7-bis, Dpr 633/72) in punto di territorialità prevede anche tale requisito giuridico/doganale, oltre a quello dell’esistenza dei beni nel territorio dello Stato al momento della vendita. Un simile requisito, tuttavia, non è affatto previsto dalla normativa Ue e, anzi, la giurisprudenza comunitaria pare esprimersi nel senso della sua irrilevanza (sentenza C-165/11), valorizzando esclusivamente il luogo in cui si trovano i beni al momento della cessione (articolo 31, direttiva 2006/112) o dell’inizio del trasporto/spedizione (articolo 32). Né vale il richiamo alle vendite a effetti traslativi sospesi/differiti regolate dall’articolo 6, Dpr 633/72.

Grazie alle previsioni di tale norma è sì possibile qualificare come non imponibile la vendita del bene che, nel momento in cui si verificano tali effetti, si trova già all’estero. Ma, per l’appunto, deve trattarsi di operazioni nelle quali il disallineamento temporale fra consegna/spedizione ed effetto traslativo consegue a previsioni di rilievo civilistico-contrattuale. Il che, non avviene nelle vendite in fiera e nelle esportazioni per tentata vendita (di cui si occupa la sentenza), per le quali la cessione è incerta e l’acquirente non è individuato all’atto dell’esportazione.

Più apprezzabili le argomentazioni alla base della sentenza 23588/2012. Qui, i giudici concludono per la non imponibilità della vendita di beni inviati all’estero, nel presupposto che sia sufficiente il ricorrere di un «vincolo finalistico» fra la loro esportazione temporanea e la successiva vendita. Occorre, però, che l’operazione sia concepita fin dall’origine come preordinata al «definitivo trasferimento e cessione della merce all’estero». Sebbene volta a dar risalto alle finalità per cui è eseguita l’esportazione, evitando di considerare non imponibili quelle cessioni che intervengono solo incidentalmente (come nel caso di un bene che, esportato a scopo di lavorazione, è ceduto all’estero; ipotesi esaminata dalla nota 1248/1997 e dalla circolare 156/1999), si tratta tuttavia di un’impostazione che, oltre a introdurre elementi di eccessiva discrezionalità nella determinazione del regime delle operazioni, verrebbe anch’essa a privare di significato concreto le regole che individuano il presupposto territoriale delle operazioni.

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